giovedì 27 settembre 2012

Passione, Fato e arti magiche


Spostandosi dall’800 al Medioevo sono interessanti le analogie che si trovano fra miti e storie d’amore famosissime e altrettanto tragiche che spesso sono diventate simbolo della rappresentazione dell’amore come desiderio devastante, passione  e sofferenza (pathos) che porta infine gli amanti alla morte. Il Medioevo è un’epoca in cui la persona, la sua volontà o le sue caratteristiche, non erano determinanti nello svolgersi degli eventi, predominava invece l’idea che essa fosse del tutto in balia del destino o Fato. La persona inoltre era tale non in quanto essere unico e speciale () ma in quanto appartenente ad una comunità a cui era strettamente dipendente in base a doveri e convenzioni non discutibili.

In questo contesto si sviluppano le due storie d’amore di Tristano e Isotta e di Romeo e Giulietta.
Il mito di origini celtiche di Tristano e Isotta, racconta di un giovane guerriero della Cornovaglia, nipote del re Marco che per riscattare la sua terra dalla sottomissione da parte del re d’Irlanda decide di partire e sopraffare i suoi nemici. Dopo uno scontro in battaglia viene ferito e curato a sua insaputa delle bella figlia del re irlandese, Isotta, che a sua volta non lo riconosce come nemico. Dopo ulteriori vicende che fanno incontrare nuovamente Isotta e Tristano, re Marco decide di sposare la figlia del re Irlandese per sanare la rivalità fra i due popoli e la ragazza accetta. Succede però che Tristano, incaricato di accompagnare la ragazza allo zio, beva erroneamente un filtro magico che la madre di Isotta aveva preparato per i futuri sposi, e lo fa bere anche ad Isotta. Risultato di questo, i due si innamorano perdutamente e da li è tutto un susseguirsi di trucchi, menzogne, espedienti e anche una fuga nella foresta per portare avanti il loro amore clandestino che dovrà cedere davanti al comunque predeterminato destino di Isotta sposa di re Marco.
Tristano sposa a sua volta una donna -senza consumare il matrimonio- la quale alla fine sarà causa della tragica morte dei due protagonisti. Ella infatti, scoperto l’amore del marito per Isotta, quando questo viene nuovamente ferito in battaglia e manda a chiamare Isotta per curarlo con i suoi rimedi da curatrice,  fa in modo di fargli credere che l’amata non vuole raggiungerlo e così Tristano si lascia morire. Arrivata Isotta dal defunto amore si lascia a sua volta morire.
Non c’è dunque nessuna possibilità per questo amore che cerca in tutti i modi di trovare il suo spazio se non quando trascende nell’eternità della morte.
La tragedia shakespeariana più famosa al mondo, Romeo e Giulietta ha dei punti in comune con il mito di Tristano e Isotta. Lo scontro fra due popoli opposti, qui fazioni, i Capuleti e i Montecchi e le difficoltà dell’amore fra i due protagonisti superata in parte con l’inganno della celebrazione del loro matrimonio all’insaputa di tutti; la pozione magica che Frate Lorenzo da a Giulietta per evitare il matrimonio impostole con Paride, giovane nobile che l’ha chiesta in sposa, che la fa sembrare morta per 42 ore in attesa che il suo Romeo la vada a prendere per fuggire insieme; l’equivoco di Romeo che pensa che lei sia morta (Tristano pensava che Isotta non lo volesse più) che lo porta a suicidarsi mentre Giulietta stessa si sta risvegliando; il repentino ricongiungimento dei due amanti nella morte come unico rimedio per rimanere per sempre uniti.
Anche qui il Fato è sovrano almeno a livello terreno, le pozioni magiche o i rimedi curativi che dir si voglia, innescano potenti processi irreversibili (l’amore per Tritano e Isotta, la morte per Giulietta e Romeo) e la passione dei due amanti raggiunge i massimi livelli di romanticismo che mai sono stati tramandati.
Oltre a leggere la tragedia di Shakespeare e raccogliere informazioni sul mito di origine celtica o ritrovarlo proposto qua e là da vari autori, meritano essere visti gli adattamenti cinematografici. In particolare ‘Tristano e Isotta’ di Kevin Reynolds del 2005 con il notevole James Franco e Sophia Myles, il bellissimo ‘Romeo e Giulietta’ di Franco Zeffirelli del 1968 con Olivia Hussey e Leonard Whiting o il più moderno ‘Romeo+Juliet’ di Baz Luhrmann del 1996 con un giovane Leonardo di Caprio e Claire Danes.
Sempre medievali, ma senza filtri magici e di un modello di amore più cortese sono invece le storie di Ginevra e Lancillotto e di Paolo e Francesca di memoria dantesca, di cui però farò in un altro post qualche altra piccola riflessione.

mercoledì 19 settembre 2012

Ralph Fiennes, link fra passione, cinema e romanzi


“Era senza dubbio splendido. …. Il suo sguardo poteva essere quasi dolce per poi diventare improvvisamente gelido.” Queste parole del regista Spielberg descrivono in sintesi l’indiscussa capacità interpretativa propria di uno degli attori a mio avviso più intensi e credibili dei giorni nostri, Ralph Fiennes. Classe 1962, di origini aristocratiche, nasce a Suffolk in Inghilterra e si forma presso la prestigiosa Royal Academy of Dramatic Art. Le prime apparizioni sono in teatro, forma d’arte e rappresentazione che continua tuttora a coltivare, nonostante sia una stella del cinema internazionale più che consacrata. Diventa noto negli anni ‘90 con film quali ‘Schindler’s list’, nel ruolo del cattivissimo ufficiale nazista che spara nel cortile ai ‘passanti’ ebrei per puro diletto, e ‘Strange Days’, della regista Bigelow, film di fantascienza dove  mette in luce anche tutto il suo lato fascinoso (la sua immagine viene poi utilizzata per dare fisionomia al riuscito personaggio del fumetto bonelliano ‘Dampyr’, il figlio del Vampiro). La consacrazione a livello mondiale la ottiene però con l’indimenticabile film ‘Il paziente inglese’ del regista Minghella, per il quale ottiene la candidatura all’Oscar a miglior attore protagonista purtroppo non vinto. Cosa dire di questo film? L’ho visto almeno una ventina di volte e in assoluto è il mio film preferito non in costume. La storia d’amore struggente fra i due protagonisti del racconto del paziente inglese – il conte di Almàsy /Ralph Fiennes e  Katharine Clifton/ Kristin Scott Thomas - e il tristissimo epilogo della stessa, è quanto di più romantico per me sia mai stato rappresentato al cinema.
Ma Ralph Fiennes è anche colui che ha interpretato diversi personaggi di alcuni dei romanzi dell’800 che prediligo o che me ne ha fatto scoprire di nuovi grazie al fatto che lo seguo come fan.
Nel 1992 interpreta infatti uno straordinario Heathcliff in ‘Wunthering Heights’, assieme a Giuliette Binosche-Catherine, dove è in grado, con il suo sguardo magnetico e la sua espressività, di metter in campo contemporaneamente tutto lo strazio e l’agonia struggente causata dal suo amore impossibile e la violenta follia che deriva dalla frustrazione stessa del non poterlo avere.
Ho visto altre versioni televisive e cinematografiche del romanzo amatissimo, ma l’atmosfera gotica, la fedeltà dell’interpretazione di questa versione secondo me non ha paragoni, nonostante non tutte le critiche vadano nello stesso senso.
Ralph Fiennes poi mi ha ha fatto scoprire un poema in versi sentito nominare ma mai preso in seria considerazione quale ‘Evgenij Onegin’ di Alexander Puškin, di cui ne è stato il protagonista nel film omonimo. Il film del 2004 diretto dalla sorella Martha e interpretato assieme alla bellissima ma un pò maestosa Liv Tyler, racconta la storia di un dandy malinconico, annoiato ed egoista che rifiuta l’amore di Tatjana, una giovane che gli si dichiara con una lettera ardente di passione, e della quale poi si innamora perdutamente, dopo qualche tempo, quando ormai lei è diventata sposa fedele di un suo cugino principe. Il film non ha avuto un grande successo di pubblico, ma quando l’ho scoperto e visto ho avuto subito il desiderio di leggere per la prima volta il poema e poi di rivedere ancora il film... Sarà stato grazie alle atmosfere della steppa innevata o all’intensa colonna sonora o ancora alla presenza del pregevole Fiennes, che qui della malinconia è l’incarnazione, che film e poema mi hanno definitivamente appassionata.
Ottima poi l’interpretazione di Fiennes nel film in costume ‘La duchessa’, alias Georgiana Cavendish interpretata da una splendida Keira Knightely, nei panni dello stagionato e senza cuore Quinto Duca di Cavendish, che vincola la giovane Georgiana ad un matrimonio di interesse con tanto di contratto e obbligo di generare un erede maschio.
Il ruolo del cattivo, gelido e violento gli riesce davvero benissimo qui, ma d’altronde basta pensarlo nella rappresentazione del male per eccellenza, ovvero quella del Mago oscuro Voldemort –faccia di serpente- nella saga di ‘Henry Potter’. Ma sempre per rimanere nell’ambito dell’800 Ralph Fiennes è anche l’ex compagno di Francesca Annis, straordinaria attrice inglese di ben 18 anni più vecchia di lui, molto nota a teatro ma non solo. Così il legame sentimentale (finito nel 2006) dei due attori si lega anche alla mia passione, vedendo lei interprete di film per la tv (BBC) come ‘Cranford’ e ‘Return to Cranford’ nei panni di Lady Ludlow, oppure della snob e ‘vacua’ matrigna di Molly in ‘Wives e Daughters’ tratti entrambi dai romanzi di Elizabeth Gaskell,
Da ammirarne la bravura nella scena della morte di Lady Ludlow mentre aspetta in piedi il ritorno del figlio Septimus, parassita dandy e senza scrupoli che vive alle spalle della nobile madre senza un minimo di riconoscimento o rispetto. Così la passione per un attore si collega alla passione per la letteratura romantica dell’800 in un susseguirsi di letture, visioni, ascolti e scoperte, anche casuali, che aumentano ancor di più l’ammirazione per questo mondo e la voglia di conoscerlo ancor di più.

venerdì 14 settembre 2012

Rappresentazione della follia d'amore e d'altro genere




FOLLIA - dal latino ‘follis’ che significa otre, recipiente vuoto, come ad indicare la testa piena d’aria, leggera - è un termine generico che in passato veniva usato per raggruppare forme diverse di disadattamento dalla realtà da parte del malato quali ossessione, depressione, schizofrenia e psicosi di altro tipo. Oggi si usa una terminologia e una classificazione più scientifica delle così dette ‘malattie mentali’ e delle terapie ad esse associabili, frutto non solo dell’intuizione ed applicazione di teorie rivoluzionarie di grandi personaggi quali ad esempio Freud o Jung, ma anche della straordinaria evoluzione dei saperi della medicina che si occupa di questo particolare ambito, la psichiatria.
Negli amati libri scritti e ambientati nell’800 e dintorni da me letti, ho incontrato qualche personaggio che secondo l’antica classificazione possiamo definire ‘folle’ e mi ha colpito il  modo in cui queste ‘persone diverse’ sono state caratterizzate dagli autori/autrici, tanto che ho deciso di rifletterci un po’ su in questo post.
La ‘folle’ o ‘pazza’ per eccellenza che merita di essere citata per prima è senz’ombra di dubbio Bertha Mason, prima moglie di Edward Rochester, aspirante marito poligamo di Jane Eyre, nell’omonimo romanzo di Charlotte Brontë.
Nel romanzo si viene a scoprire che l’origine della follia di Bertha è di tipo genetico o comunque di tipo organico, facendo lei parte di una famiglia creola di origini sudamericane in cui anche nel fratello e forse in qualche altro membro della famiglia era evidente la tara ereditaria. Purtroppo il nostro Rochester viene a scoprirlo quando ormai era stato celebrato il matrimonio e da lì ha inizio la sua – e la di lei - discesa agli inferi.
I sinistri rumori nella soffitta della casa padronale dove è governante Jane Eyre, i fatti che si verificano senza apparente motivazione, quali incendi scoppiati all’improvviso o apparizioni strane, vengono magistralmente introdotti dalla Brontë per caratterizzare il romanzo di un sottofondo gotico/horror, che poi si dissolve di fronte alla tragica realtà della reclusione della malata in soffitta, soluzione presa da Rochester per non abbandonare la moglie all’ancora più tragico destino che avrebbe trovato in un manicomio.
Nella follia di Bertha sembra esserci qualche traccia di lucidità quando ad esempio capisce che il marito si stava per risposare e, pur avendo cercato di uccidere entrambi i nuovi amanti in diverse occasioni,  alla fine, nel gettarsi dal tetto della casa in fiamme, sembra quasi uscire di scena affinché si compia il destino dei due.
Follia non genetica ma determinata da meccanismi ignoti della mente e, aggiungerei, del cuore umani è invece quella che caratterizza, anche se in modo diverso, Catherine e Heathcliff nell’indimenticabile romanzo “Cime tempestose” di Emily Brontë.
Catherine impazzisce a forza di vedere il marito scontrarsi di continuo con il suo vero amore Heathcliff, incapace di gestire la situazione e probabilmente conscia di avere fatto l’errore che la condannerà all’infelicità e poi alla morte, ovvero  non aver scelto Heathcliff. La descrizione della malattia che ne fa Emily Brontë è molto simile ad uno stato depressivo profondo che, non aiutato dalla gravidanza in corso, vedrà l’infelice epilogo con le complicazioni intervenute al momento del parto.
Heathcliff dal canto suo sviluppa una vera e propria ossessione nei confronti dell’amata  che non può avere, che l’ha tradito scegliendo un altro, che comunque sa nel profondo che lo ama come se stessa..celebre la frase di Catherine che dice “..Nelly, io sono Heathcliff- lui è sempre, sempre nella mia mente”.
E questa ossessione, che sfocia in comportamenti vendicativi e violenti verso un po’ tutti i personaggi del romanzo, incluso il cane, si trasforma dopo la morte di Catherine in vera e propria missione autodistruttiva finalizzata al ricongiungimento con l’amata sottoforma di spirito.
La descrizione di come profana la tomba di Catherine per rivederla ancora una volta, o di come spalanca lo sguardo per cercarne il fantasma nella brughiera, o l’invocare a voce alta di perseguitarlo, sono tutti comportamenti di un uomo che è impazzito dal dolore per un amore impossibile.
Un altro personaggio che sfiora la follia ma che poi, dopo esserne stata quasi del tutto avvinta riesce a tornare in sé e a continuare positivamente il suo percorso di vita, è Luisa, la protagonista del bel romanzo di Antonio Fogazzaro “Piccolo mondo antico” pubblicato nel 1895. Luisa, giovane donna di carattere, con idee religiose e politiche anticonvenzionali, sfiora appunto la pazzia quando perde in un tragico incidente la figlia Maria ‘Ombretta’, che annega nel lago di Lugano. A seguito di questo trauma Luisa partecipa a  sedute spiritiche per rievocare lo spirito della figlia, rinnega il già messo in discussione credo cristiano e frequenta spesso il cimitero, isolandosi in un ‘congelamento’ emotivo dal marito e dal resto della società. Si riavrà alla fine grazie alla decisione del marito di partire per una guerra, da cui peraltro non tornerà, e nell’essere costretta a salutarlo, non solo si accorgerà di amarlo ancora ma ne rimarrà anche incinta.
Questa forma di depressione non le sarà dunque fatale anche se la segnerà per sempre.
Concludo poi ricordando uno dei più simpatici personaggi ‘folli’ dei romanzi sentimentali dell’800, ovvero Mrs Forrester, che troviamo nel romanzo di Elizabeth Gaskell ‘Cranford’, una vedova che possiede una mucca di nome Bessie, che ama come una figlia e che porta a spasso e cura meglio di un essere umano! Se non è questa follia ..

mercoledì 12 settembre 2012

Uno, cento, mille Darcy


“.. Mr. Darcy, attirò ben presto l’attenzione di tutta la sala per la sua alta e snella figura, il volto dai lineamenti bellissimi, il nobile aspetto, e per la notizia, … , che possedeva diecimila sterline di rendita. Gli uomini dichiararono che era un tipo virile; le signore che era molto più bello di Mr. Bingley, e per tutta la prima parte della serata fu circondato da una viva ammirazione, finchè i suoi modi, disgustando tutti quanti, ne minarono la popolarità, perché quando si venne a sapere che era orgoglioso e che dimostrava di sentirsi superiore sia alla compagnia, sia a quella sorta di divertimenti, tutta la sua tenuta del Derbyshire non bastò a far dimenticare il suo contegno scontroso e antipatico, ..”

Ecco la descrizione che Jane Austen fa di uno dei personaggi maschili più popolari ed ammirati a livello mondiale dei romanzi sentimentali dell’800, l’altero Fitzwilliam Darcy, proprietario di una tenuta immaginaria non indifferente (Derbyshire), e di relativa rendita annua e capitali immobili, alla cui vista, anche la nostra eroina Liz Bennet è rimasta a bocca aperta nonostante tutti i suoi pregiudizi!
La scoperta che progressivamente si fa della vera personalità che accompagna l’indiscussa presenza scenica di questo giovane nobiluomo, ci palesa un carattere piuttosto chiuso, introverso, non ben disposto alle relazioni interpersonali, ma di sani principi e generosità profonda e sincera, in particolare verso coloro per cui nutre una qualche forma di affetto - amico, sorella, futura fidanzata - ma non solo.
La sua alterigia poi è solo minimamente parte di una qualche forma di snobismo verso chi appartiene a classi sociali inferiori (tipico del ceto nobile), ma è invece principalmente “maschera” della sua riservatezza ed impenetrabilità, dovuta anche al freddo e distaccato rapporto che il padre gli ha riservato da piccolo. Infine non si può dire che non sia uomo passionale, visto il coraggio manifestato nell’andare contro ogni convenzione sociale nel momento in cui si dichiara all’amata non proprio all’altezza del suo nobile rango.
Così, dopo aver letto e riletto più volte lo straordinario romanzo “Orgoglio e Pregiudizio”, ed essermi costruita nella mente il ritratto tutto personale di questo quasi trentenne di qualche lustro fa, ecco che la mia immaginazione viene continuamente messa a dura prova dai molteplici Darcy cinematografici e televisivi incontrati negli anni. 
Basta digitare Darcy su Google che compare l’elenco preciso dei diversi attori che dal lontano 1938 ad oggi lo hanno interpretato, precisamente 5 al cinema, 11 in Tv più 2 rappresentazioni animate.
Non sto qui a elencarli o descriverne le caratteristiche fisiche di tutti, la rete è piuttosto esaustiva, ma provo a fare qualche considerazione su quelli che mi hanno colpita di più.
Colin Firth, attore britannico classe 1960, Oscar 2011 vinto come attore protagonista ne ‘Il discorso del Re’, è, in base alla mia personalissima opinione -ma non penso di essere l’unica- il Mr Darcy per eccellenza, simply perfect, a tal punto che lui stesso dichiarava in un’intervista che “..ad ogni nuovo film penso: stavolta uccido Darcy..” . Ma non lo pensava realmente, visto che la sua notorietà è dovuta sia alla sua interpretazione in costume nella mini serie della BBC del 1995, con particolar riferimento alla mitica ‘scena del lago’, sia nel film ‘Bridget Jones’ in cui interpretava l’attualizzato Mark Darcy, con tanto di maglione con la renna, e sequel.Cosa aggiungere su di lui? Le foto. 
Elliot Cowan, attore britannico del 1976, forse più noto in TV e al pubblico inglese, eccetto per chi ha amato e visto più volte come me il film ‘Alexander’ di Oliver Stone del 2004 in cui aveva la parte di Tolomeo, è per me il secondo più credibile Mr. Darcy, interpretato nella simpaticissima miniserie per la ITV intitolata ‘Lost in Austen’. Ci ho messo un po’ a passarlo al secondo posto in sostituzione di Macfadyen, ma alla fine lo colloco lì, perché nonostante la mascella non proprio regolare, la sua fisicità in generale, lo sprezzo mostrato in alcune scene e poi lo sguardo perso e dolcissimo al termine della serie mi hanno ricordato il ‘ritratto’ generato nella mia testa dalla descrizione austeniana.
Matthew Macfadyen, attore britannico del 1974, è diventato noto al cinema nel ruolo di Darcy nell’ottimo film ‘Orgoglio e Pregiudizio’ del 2005, interpretato con Keira Knightley nel ruolo di Liz; nel 2012 John Wright lo rivuole assieme alla collega anche in ‘Anna Karenina’ (non ancora uscito nelle sale). Il motivo per cui lo colloco come fra i miei preferiti ma dopo i due su citati, è che, per quanto bravissimo nell’interpretazione, fisicamente è troppo possente e massiccio, e anche un po’ meno attraente degli altri. In ogni caso la scena del film quando si dichiara a Liz presso il tempietto di Apollo sotto la pioggia – scena peraltro per nulla fedele al libro, rappresentata in casa e all’asciutto – è davvero emozionante..

Poi ci sono altri Darcy dal fascino antico (Laurence Oliver nel film classe 1940) o bolliwoodiani  (Martin Henderson nel modesto film ‘Matrimoni e pregiudizi’ del 2004) o infine horror (nel libro “Mr. Darcy, Vampire” di Amanda Grange)…e su quest’ultimo citato, rabbrividendo per il coraggio di chi ha osato profanare cotanto mito, concludo il mio post.

domenica 9 settembre 2012

Persone e relazioni sindacali


Leggendo North and South di Elizabeth Gaskell (nel 1854 vi è stata la pubblicazione della prima puntata sulla rivista di Dickens “Household Words), non sfugge la capacità dell’autrice di contestualizzare la storia d’amore dei due protagonisti, Margaret Hale e Jhon Thornton, nello sfondo sociale di contrapposizione fra la realtà amena e agricola del Sud con la realtà industriale del Nord  dell’Inghilterra di metà Ottocento, cosa che non risulta essere riuscita altrettanto bene a  Charlotte Brönte nel romanzo “Shirley”, vista la critica negativa e lo scarso successo di pubblico ottenuto dal romanzo.
Gaskell riesce a rappresentare egregiamente i diversi aspetti della lotta di classe fra gli operai, che reclamano in modo sempre più organizzato migliori condizioni di lavoro, di vita/salute e di salario  (il Trade Union è una conquista inglese proprio di metà secolo) e, dall’altra parte, gli industriali che lottano per competere in contesti di mercato già allora competitivi e pressanti (si pensi ai riferimenti di Thornton alla concorrenza dell’industria americana in ambito tessile tessile). Come poi esperti critici letterari sottolineano, avendo lei stessa vissuto la realtà industriale, a seguito del necessario trasloco nella città industriale di Manchester per seguire il marito, Gaskell  in questo romanzo fa emergere prepotente la sua convinzione, maturata da osservatrice e divenuta via via sempre più profonda, che ci possa essere pur nel confronto/scontro una qualche forma di intesa o meglio ancora un modo di conciliare opportunamente gli interessi di opposte classi sociali. L’interdipendenza stretta che va a descrivere in modo mai pedante, fra la necessità dell’operaio di avere un posto di lavoro in fabbrica in un contesto ambientale ormai trasformato dall’industria che non concede tante alternative, e comunque discreti salari, e la necessità da parte degli industriali di avere le forze lavoro presenti giornalmente, puntuali e possibilmente poco polemiche, per esaudire in tempi giusti gli ordini dei clienti, è quanto mai attuale.
Lavorando in un contesto industriale, le dinamiche delle relazioni sindacali mi sono note e mi è piaciuta l’evoluzione descritta nel romanzo di un personaggio come Higgins, sindacalista con ideali socialisti e una certa intelligenza, che all’inizio per necessità ma poi anche per stima verso la persona del ‘Master’ (Padrone) del cotonificio, si sforza di imparare a comprenderne la posizione e i reali intenti dello stesso, arrivando ad impostare con lui una relazione di collaborazione e fiducia reciproca. Stessa cosa vale per Thornton che all’inizio considera Higgins un inaffidabile cialtrone rivoluzionario e poi impara ad apprezzarne gli ideali, non troppo lontani dai suoi, e le ragioni in alcuni casi fin troppo evidenti di certe sue posizioni (la morte a 19 anni della figlia Bessy per aver respirato ‘pezzi’ di cotone viste le inesistenti o quasi tutele di salute e sicurezza sui posti di lavoro del tempo o l’indigenza dei figli di Boucher, un collega, di cui Higgins si prenderà cura alla morte per disperazione del padre). L’esempio di come arrivano entrambi a sperimentare (lo definiscono più volte proprio ‘un esperimento’) la realizzazione di una mensa aziendale interna che garantisca un buon pasto giornaliero ai lavoratori e dall’altra le giuste energie per fare bene il proprio lavoro agli stessi è esemplificativo del risultato di una sana relazione fra le parti. Laddove questa relazione non è sana, ma solo impuntata o far prevalere ideologismi, cocciutaggini e spregio per l’altrui condizione/posizione, ieri come oggi a mio avviso non è in grado di fare emergere cose utili o costruttive.
La descrizione poi  di come lo sciopero, strumento per eccellenza di protesta sindacale che se mal organizzato o lasciato nelle mani di puri agitatori di masse, privi di ragioni strutturate, non fa altro che determinare sconfitta comune, è quanto mai attuale.
Naturalmente da metà Ottocento ad oggi di strada ne è stata fatta, e ancora ce n’è da fare, tanto più in un momento di crisi mondiale come quella in corso,  ma è interessante osservare come le dinamiche di fondo sono sempre le stesse. In particolare credo fermamente, e potrei raccontare qualche esempio, di come sia sempre la persona in fondo a fare la differenza, anche senza prescindere dal fatto che questa non avrebbe senso in sé se non in relazione all’altro e che il gruppo sociale, organizzato o meno, le permette di fare delle cose che da sola non sarebbero possibili.
Higgins e Thornton in North and South sono le ‘persone’ che fanno la differenza.

venerdì 7 settembre 2012

La cura della persona nei romanzi sentimentali dell'800


Uno degli aspetti che mi ha sempre affascinato e aiutato a proiettarmi nell’immaginario ottocentesco durante le mie letture preferite, è la descrizione dell’abbigliamento, in particolare femminile, accompagnato dalla generale cura della persona che tipicamente sembrava caratterizzare le donne appartenenti alla classe media e ancor di più alla upper class. In particolare è sulla cura della persona che vorrei soffermarmi oggi con qualche riflessione.  Il ceto sociale sicuramente faceva la differenza sulla qualità di una acconciatura bella e alla moda e un vestito di stoffa preziosa e confezionato su misura. Penso ad esempio ad una 'Caroline Bingley di ‘Orgoglio e Pregiudizio’ di Austen o Lady Harriet di ‘Wives and Doughters’ di Gaskell. Belle, ben acconciate, chiare di carnagione e con modi eleganti, anche se non necessariamente simpatiche (la prima in particolare). Poi mi sposto su Jane Eyre quando esce dall’orfanotrofio/collegio per diventare tutrice della figlia di Rochester, e si presenta in possesso di due semplicissimi abiti (uno nero invernale e uno più elegante e leggero di colore grigio) ma ben pettinata, sebbene in modo semplice, e curata. Come non ricordare infine la preparazione delle sorelle Bennet, fra acconciature, nastri e mussoline per l’attesissimo ballo a Netherfield o la partecipazione alla vita mondana di Bath corredata da nuovi abiti, cappellini ed altro di Catherine di Northanger Abbey sempre della nostra magnifica Austen ?
Questo immaginario viene poi confermato se non migliorato dalle immagini del miglior film a mio avviso realizzato su ‘Orgoglio e Pregiudizio’, quello di Joe Wright del 2005, o da quelle di Jane Eyre del 1996 di Franco Zeffirelli (devo ancora vedere quello del 2011 con Michael Fassbender ma essendo una produzione BBC non ho grossi dubbi sul risultato).
Tornando alla cura della persona quindi, da come sopra riportato, è interessante notare come queste signore riuscissero ad apparire ordinate e pulite nonostante la notorietà di alcuni usi e costumi del tempo.
Partendo dal presupposto che storicamente i greci e in particolare i romani avevano una cura e igiene personale decisamente spiccata e rinomata per i tempi, basti solo pensare alle numerose terme, le depilazioni ricorrenti anche negli uomini (si narra che Giulio Cesare ci tenesse molto) piuttosto che gli oli e 
le essenze con cui si cospargevano corpo e capelli o le sostanze in cui si facevano i bagni (Poppea nel latte di asina), a partire dal Medioevo ci fu un progressivo degradare dell’utilizzo dell’acqua e delle abluzioni in generale, fino a giungere alla quasi totale assenza di cure igieniche del ‘700. L’800 per fortuna vide poi riconsiderare l’utilità dell’acqua, non più considerata come pura origine di malattia di ogni sorte (in parte anche vero) e il ridimensionamento dell’utilizzo di profumi ed essenze per coprire sgradevoli effluvi che originavano mix sicuramente esplosivi.
Possiamo così dire che ben lungi dalle ripetute docce giornaliere o dalla cura maniacale di denti e crini a cui ci sottoponiamo oggi, le nostre signore dell’Ottocento l’acqua un po’ la usavano ma molto aiutavano gli usi e costumi del tempo che mi piace ricordare.
I capelli ad esempio non si lavavano spesso nell’arco di un mese di calendario, per cui le belle cuffiette ricamate da notte o da giorno servivano per proteggere le chiome ma soprattutto per coprirle in assenza di una bella acconciatura. Le acconciature più o meno elaborate prevedevano anche l’applicazione di fiori profumati e in alcuni casi l’uso della cipria (di cui all’inizio Ottocento se ne è progressivamente perso l’uso) per assorbire lo sporco. Il cambio d’abito per la cena era di regola soprattutto nell’alta società ma non solo, e se proprio ci si sentiva in disordine più che lavarsi ci si cambiava la biancheria o la camicia.
E i denti come andavano puliti? Meravigliosa è la parte del film ‘Lost in Austen’ quando la protagonista Amanda (che alla fine prende il posto di Liz Bennet con tanto di notevole Darcy)  chiede a Jane cosa mai potevano servire le foglie di salvia, i legnetti e il gesso messi sulla toeletta della camera di Liz in cui era stata ospitata.
Le persone appartenenti alla classe media non facevano frequentemente bagni e non tutte le nobili residenze possedevano delle vere e proprie stanze da bagno, ma a me piace pensare che un tuffo nel laghetto di proprietà come quello fatto da Darcy-Colin Firth nella nota miniserie, ripaghi e ripulisca di ogni sudata dopo una lunga cavalcata!
Per concludere cito un libro che con curiosità ho scovato, comprato e letto, intitolato ‘Shopping con Jane Austen’ - perché nulla va lasciato intentato quando si ha una passione- ma che non mi ha entusiasmato in generale e in particolare per il dettaglio con cui è stata messa in evidenza proprio la scarsa cura personale di alcuni personaggi minori, che però lasciava intendere fosse propria del periodo storico intero. Se si legge un’epoca passata con la lente dell’oggi il risultato è scientifico e non letterario..

mercoledì 5 settembre 2012

Proposte di matrimonio rifiutate


Alla luce delle statistiche dei nostri giorni circa l’aumento vertiginoso delle separazioni e/o divorzi, dove spesso è la donna a determinare la fine del rapporto, quasi tutti (ma potremmo anche togliere il ‘quasi’) gli amati romanzi sentimentali dell’800 da me letti e riletti manifestano come leit motive o, se vogliamo, come obiettivo sociale primario quello del matrimonio, possibilmente in giovane età per le donne, perché altrimenti superati i 23-25 anni di allora si cadeva già nella categoria delle ‘zittelle’. A queste poi non rimaneva che o occuparsi dei genitori anziani (destino già segnato per la minore delle figlie Bennett in ‘Orgoglio e Pregiudizio’ di Austen, Mary ) o compiacere gli altri stoltamente per non essere completamente isolate/rigettate dalla società ingabbiata nelle convenzioni sociali di allora (la sig.ina Barnes del romanzo ‘Emma’ di Austen), dominate dal predominio e privilegio maschile. Un po’ fuori dal coro, ma non troppo se notiamo l’età delle signore (per lo più zitelle o in qualche caso vedove da molto tempo) le magnifiche protagoniste dei racconti di ‘Cranford’ di Gaskell attorno a cui ruota la vera dimensione di affettività sociale di quell’immaginario paese della campagna inglese.
Ma visto che buona parte degli autori di queste opere sono donne dell’Ottocento, mi piaceva mettere in evidenza come spesso queste hanno fatto ricorso al meccanismo del rifiuto della proposta di matrimonio manifestata o sottointesa dallo spasimante o pretendente che si voglia definire, sia come espediente letterario per vivacizzare il romanzo sia, a mio avviso, per mettere in risalto una delle poche licenze che si potevano permettere alcune donne/eroine, le più anticonformiste, verso gli uomini di allora.  Mr. Darcy di ‘Orgoglio e Pregiudizio’ ne sa qualcosa (..non servirebbe nemmeno scrivere di che romanzo fa parte questo mitico personaggio e d’ora in poi non lo farò più), così come Mr. Thorntorn di ‘North & South’ di Gaskell. Penso anche al bel Capitano Wentworth di ‘Persuasion’, anche se credo che non abbia avuto il tempo tecnico di chiedere la mano di Anne Elliot perché è stata appunto persuasa prima a lasciarlo. Cito per primi questi tre bei personaggi perché alla fine ottengono comunque la mano della loro amata, nonostante la falsa partenza, e quindi mi piace accomunarli. Altro motivo per farlo è che sono tutti e tre molto orgogliosi e rancorosi in certi passaggi verso chi ha osato rifiutarli, in due su tre casi anche con una certa dose di disprezzo. Emerge invece netta la differenza dello status sociale dei nostri, in quanto Darcy è un gran signore di nobili origini e con tutt’altro che modesto patrimonio e i due parvenu, tutti da ammirare, sono Wentworth il marinaio diventato Capitano danaroso e Thorntorn ex garzone di un commerciante di stoffe diventato poi ricco industriale (che si perde economicamente verso la fine ma per nobili ideali..). Non saprei dire chi mi piace di più dei tre ma dopo anche aver visto i film o le miniserie della BBC relative, penso che Wentworth abbia rapito definitivamente il mio cuore (quello biondo - alias  Rupert Penry-Jones- lo rappresenta al meglio esteticamente, quello moro invece – alias Ciaran Hinds- a mio avviso troppo anzianotto per essere credibile..).
 Personaggio minore ma che viene dapprima rifiutato ma poi rivalutato e finalmente sposato  dalla sua amata Harriet è anche Mr. Martin, giovane agricoltore dal cuore buono nel romanzo ‘Emma’.
Ma che dire dell’improbabile reverendo Collins di ‘Orgoglio e Pregiudizio’ o del calcolatore Mr. Elliot cugino di Anne di ‘Persuasion’ rifiutati entrambi? Qui nulla da ridire se le nostre eroine non ci hanno ripensato..
Infine cito l’avvocato Lennox di ‘North and South’ perché altrimenti non sarebbe esistito il triangolo amoroso per la nostra Margaret, ma devo ancora decidere se collocarlo fra i buoni o i cattivi.
Quindi molte le descrizioni dei rifiuti di proposte di matrimonio a discapito dell’uomo che, o per diritto acquisito/ereditato o per ferma convinzione che comunque la donna era succube e costretta ad accettare per garantirsi il futuro, un po’ più raramente invece per amore, ne usciva sofferente ed amareggiato dal torto subito (non i tutti i casi comunque). E che meraviglia le descrizioni della sofferenza introspettiva che in un caso specifico è durata per 8 anni (Persuasion).
Oggi giorno credo che difficilmente si arrivi a subire un rifiuto formale di quel tipo, infatti prima ci si ‘conosce’ anche biblicamente, spesso si va a convivere per ‘provare a vedere se funziona’ etc. . Non voglio approfondire questo delicato tema che meriterebbe riflessioni sociologiche di esperti quale io non sono e che in buona parte probabilmente è espressione del tipo di società e delle convenzioni di oggi e di allora.
Pur trovando nelle mie letture preferite di quell’epoca molte assonanze o similitudini su altre tematiche, rispetto a quella del matrimonio è evidente che predominano le differenze, almeno per le popolazioni occidentali e sempre parlando in generale.