FOLLIA
- dal latino ‘follis’ che significa otre, recipiente vuoto, come ad indicare la
testa piena d’aria, leggera - è un termine generico che in passato veniva usato
per raggruppare forme diverse di disadattamento dalla realtà da parte del
malato quali ossessione, depressione, schizofrenia e psicosi di altro tipo.
Oggi si usa una terminologia e una classificazione più scientifica delle così
dette ‘malattie mentali’ e delle terapie ad esse associabili, frutto non solo
dell’intuizione ed applicazione di teorie rivoluzionarie di grandi personaggi
quali ad esempio Freud o Jung, ma anche della straordinaria evoluzione dei
saperi della medicina che si occupa di questo particolare ambito, la
psichiatria.
Negli
amati libri scritti e ambientati nell’800 e dintorni da me letti, ho incontrato
qualche personaggio che secondo l’antica classificazione possiamo definire
‘folle’ e mi ha colpito il modo in cui
queste ‘persone diverse’ sono state caratterizzate dagli autori/autrici, tanto
che ho deciso di rifletterci un po’ su in questo post.
La
‘folle’ o ‘pazza’ per eccellenza che merita di essere citata per prima è
senz’ombra di dubbio Bertha Mason, prima moglie di Edward Rochester, aspirante
marito poligamo di Jane Eyre, nell’omonimo romanzo di Charlotte Brontë.
Nel
romanzo si viene a scoprire che l’origine della follia di Bertha è di tipo
genetico o comunque di tipo organico, facendo lei parte di una famiglia creola di
origini sudamericane in cui anche nel fratello e forse in qualche altro membro
della famiglia era evidente la tara ereditaria. Purtroppo il nostro Rochester
viene a scoprirlo quando ormai era stato celebrato il matrimonio e da lì ha
inizio la sua – e la di lei - discesa agli inferi.
I
sinistri rumori nella soffitta della casa padronale dove è governante Jane Eyre,
i fatti che si verificano senza apparente motivazione, quali incendi scoppiati all’improvviso
o apparizioni strane, vengono magistralmente introdotti dalla Brontë per
caratterizzare il romanzo di un sottofondo gotico/horror, che poi si dissolve
di fronte alla tragica realtà della reclusione della malata in soffitta,
soluzione presa da Rochester per non abbandonare la moglie all’ancora più
tragico destino che avrebbe trovato in un manicomio.
Nella
follia di Bertha sembra esserci qualche traccia di lucidità quando ad esempio
capisce che il marito si stava per risposare e, pur avendo cercato di uccidere
entrambi i nuovi amanti in diverse occasioni,
alla fine, nel gettarsi dal tetto della casa in fiamme, sembra quasi
uscire di scena affinché si compia il destino dei due.
Follia
non genetica ma determinata da meccanismi ignoti della mente e, aggiungerei,
del cuore umani è invece quella che caratterizza, anche se in modo diverso,
Catherine e Heathcliff nell’indimenticabile romanzo “Cime tempestose” di Emily
Brontë.
Catherine
impazzisce a forza di vedere il marito scontrarsi di continuo con il suo vero
amore Heathcliff, incapace di gestire la situazione e probabilmente conscia di
avere fatto l’errore che la condannerà all’infelicità e poi alla morte, ovvero non aver scelto Heathcliff. La descrizione
della malattia che ne fa Emily Brontë è molto simile ad uno stato depressivo
profondo che, non aiutato dalla gravidanza in corso, vedrà l’infelice epilogo con
le complicazioni intervenute al momento del parto.
Heathcliff
dal canto suo sviluppa una vera e propria ossessione nei confronti
dell’amata che non può avere, che l’ha
tradito scegliendo un altro, che comunque sa nel profondo che lo ama come se
stessa..celebre la frase di Catherine che dice “..Nelly, io sono Heathcliff- lui è sempre, sempre
nella mia mente”.
E
questa ossessione, che sfocia in comportamenti vendicativi e violenti verso un
po’ tutti i personaggi del romanzo, incluso il cane, si trasforma dopo la morte
di Catherine in vera e propria missione autodistruttiva finalizzata al
ricongiungimento con l’amata sottoforma di spirito.
La
descrizione di come profana la tomba di Catherine per rivederla ancora una
volta, o di come spalanca lo sguardo per cercarne il fantasma nella brughiera, o
l’invocare a voce alta di perseguitarlo, sono tutti comportamenti di un uomo
che è impazzito dal dolore per un amore impossibile.
Un
altro personaggio che sfiora la follia ma che poi, dopo esserne stata quasi del
tutto avvinta riesce a tornare in sé e a continuare positivamente il suo
percorso di vita, è Luisa, la protagonista del bel romanzo di Antonio Fogazzaro
“Piccolo mondo antico” pubblicato nel 1895. Luisa, giovane donna di carattere,
con idee religiose e politiche anticonvenzionali, sfiora appunto la pazzia
quando perde in un tragico incidente la figlia Maria ‘Ombretta’, che annega nel
lago di Lugano. A seguito di questo trauma Luisa partecipa a sedute spiritiche per rievocare lo spirito
della figlia, rinnega il già messo in discussione credo cristiano e frequenta
spesso il cimitero, isolandosi in un ‘congelamento’ emotivo dal marito e dal
resto della società. Si riavrà alla fine grazie alla decisione del marito di
partire per una guerra, da cui peraltro non tornerà, e nell’essere costretta a
salutarlo, non solo si accorgerà di amarlo ancora ma ne rimarrà anche incinta.
Questa
forma di depressione non le sarà dunque fatale anche se la segnerà per sempre.
Concludo
poi ricordando uno dei più simpatici personaggi ‘folli’ dei romanzi
sentimentali dell’800, ovvero Mrs Forrester, che troviamo nel romanzo di
Elizabeth Gaskell ‘Cranford’, una vedova che possiede una mucca di nome Bessie,
che ama come una figlia e che porta a spasso e cura meglio di un essere umano! Se
non è questa follia ..
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