venerdì 14 settembre 2012

Rappresentazione della follia d'amore e d'altro genere




FOLLIA - dal latino ‘follis’ che significa otre, recipiente vuoto, come ad indicare la testa piena d’aria, leggera - è un termine generico che in passato veniva usato per raggruppare forme diverse di disadattamento dalla realtà da parte del malato quali ossessione, depressione, schizofrenia e psicosi di altro tipo. Oggi si usa una terminologia e una classificazione più scientifica delle così dette ‘malattie mentali’ e delle terapie ad esse associabili, frutto non solo dell’intuizione ed applicazione di teorie rivoluzionarie di grandi personaggi quali ad esempio Freud o Jung, ma anche della straordinaria evoluzione dei saperi della medicina che si occupa di questo particolare ambito, la psichiatria.
Negli amati libri scritti e ambientati nell’800 e dintorni da me letti, ho incontrato qualche personaggio che secondo l’antica classificazione possiamo definire ‘folle’ e mi ha colpito il  modo in cui queste ‘persone diverse’ sono state caratterizzate dagli autori/autrici, tanto che ho deciso di rifletterci un po’ su in questo post.
La ‘folle’ o ‘pazza’ per eccellenza che merita di essere citata per prima è senz’ombra di dubbio Bertha Mason, prima moglie di Edward Rochester, aspirante marito poligamo di Jane Eyre, nell’omonimo romanzo di Charlotte Brontë.
Nel romanzo si viene a scoprire che l’origine della follia di Bertha è di tipo genetico o comunque di tipo organico, facendo lei parte di una famiglia creola di origini sudamericane in cui anche nel fratello e forse in qualche altro membro della famiglia era evidente la tara ereditaria. Purtroppo il nostro Rochester viene a scoprirlo quando ormai era stato celebrato il matrimonio e da lì ha inizio la sua – e la di lei - discesa agli inferi.
I sinistri rumori nella soffitta della casa padronale dove è governante Jane Eyre, i fatti che si verificano senza apparente motivazione, quali incendi scoppiati all’improvviso o apparizioni strane, vengono magistralmente introdotti dalla Brontë per caratterizzare il romanzo di un sottofondo gotico/horror, che poi si dissolve di fronte alla tragica realtà della reclusione della malata in soffitta, soluzione presa da Rochester per non abbandonare la moglie all’ancora più tragico destino che avrebbe trovato in un manicomio.
Nella follia di Bertha sembra esserci qualche traccia di lucidità quando ad esempio capisce che il marito si stava per risposare e, pur avendo cercato di uccidere entrambi i nuovi amanti in diverse occasioni,  alla fine, nel gettarsi dal tetto della casa in fiamme, sembra quasi uscire di scena affinché si compia il destino dei due.
Follia non genetica ma determinata da meccanismi ignoti della mente e, aggiungerei, del cuore umani è invece quella che caratterizza, anche se in modo diverso, Catherine e Heathcliff nell’indimenticabile romanzo “Cime tempestose” di Emily Brontë.
Catherine impazzisce a forza di vedere il marito scontrarsi di continuo con il suo vero amore Heathcliff, incapace di gestire la situazione e probabilmente conscia di avere fatto l’errore che la condannerà all’infelicità e poi alla morte, ovvero  non aver scelto Heathcliff. La descrizione della malattia che ne fa Emily Brontë è molto simile ad uno stato depressivo profondo che, non aiutato dalla gravidanza in corso, vedrà l’infelice epilogo con le complicazioni intervenute al momento del parto.
Heathcliff dal canto suo sviluppa una vera e propria ossessione nei confronti dell’amata  che non può avere, che l’ha tradito scegliendo un altro, che comunque sa nel profondo che lo ama come se stessa..celebre la frase di Catherine che dice “..Nelly, io sono Heathcliff- lui è sempre, sempre nella mia mente”.
E questa ossessione, che sfocia in comportamenti vendicativi e violenti verso un po’ tutti i personaggi del romanzo, incluso il cane, si trasforma dopo la morte di Catherine in vera e propria missione autodistruttiva finalizzata al ricongiungimento con l’amata sottoforma di spirito.
La descrizione di come profana la tomba di Catherine per rivederla ancora una volta, o di come spalanca lo sguardo per cercarne il fantasma nella brughiera, o l’invocare a voce alta di perseguitarlo, sono tutti comportamenti di un uomo che è impazzito dal dolore per un amore impossibile.
Un altro personaggio che sfiora la follia ma che poi, dopo esserne stata quasi del tutto avvinta riesce a tornare in sé e a continuare positivamente il suo percorso di vita, è Luisa, la protagonista del bel romanzo di Antonio Fogazzaro “Piccolo mondo antico” pubblicato nel 1895. Luisa, giovane donna di carattere, con idee religiose e politiche anticonvenzionali, sfiora appunto la pazzia quando perde in un tragico incidente la figlia Maria ‘Ombretta’, che annega nel lago di Lugano. A seguito di questo trauma Luisa partecipa a  sedute spiritiche per rievocare lo spirito della figlia, rinnega il già messo in discussione credo cristiano e frequenta spesso il cimitero, isolandosi in un ‘congelamento’ emotivo dal marito e dal resto della società. Si riavrà alla fine grazie alla decisione del marito di partire per una guerra, da cui peraltro non tornerà, e nell’essere costretta a salutarlo, non solo si accorgerà di amarlo ancora ma ne rimarrà anche incinta.
Questa forma di depressione non le sarà dunque fatale anche se la segnerà per sempre.
Concludo poi ricordando uno dei più simpatici personaggi ‘folli’ dei romanzi sentimentali dell’800, ovvero Mrs Forrester, che troviamo nel romanzo di Elizabeth Gaskell ‘Cranford’, una vedova che possiede una mucca di nome Bessie, che ama come una figlia e che porta a spasso e cura meglio di un essere umano! Se non è questa follia ..

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