martedì 31 dicembre 2013

Ultimo post dell'anno o post dell'Ultimo dell'anno

Oggi è il 31 dicembre e senza voler fare bilanci di quanto è ormai passato o fare buoni e lucidi propositi per quello che verrà, accolgo tutte le novità che il 2014 sicuramente mi riserva con la speranza e la curiosità dell'intraprendere un nuovo viaggio che, se proseguono i cicli precedenti della mia vita, potrebbe interessare almeno una decade. Oggi però voglio concentrarmi su questo giorno particolare dove molti sono intenti a preparare o a prepararsi per la cena che porterà al notturno brindisi che sancirà al contempo la fine e l'inizio di un capitolo di vita.
Sulle piste da sci questa mattina erano in pochi, infatti ne ho trovati moltissimi ammassati davanti al bancone del piccolo 'supermercato' del paese montano ad acquistare tutto ciò che tra questa sera e domani sarà ingurgitabile. Tra ieri ed oggi gli autobus hanno scaricato molti giovani sorridenti con valigioni contenenti maglioni pesanti per il giorno ed abitini adatti a farsi notare al veglione organizzato negli hotel in vista della zona. Su facebook numerosa è la risposta all'invito alla festa dove magari già l'anno scorso ci si era conosciuti o si aveva partecipato con grande divertimento. I 'Ci sarò' o 'mi piace' fioccano come una promessa che coinvolge molte persone indipendentemente dal fatto che si conoscano appena o per nulla. In piazza è tutto pronto per i festeggiamenti notturni a diversi gradi sotto zero, e i fuochi d'artificio illumineranno ancora una volta i profili delle silenziose montagne innevate che assumeranno i colori più straordinari visibili durante l'anno. Poi calerà il silenzio del primissimo mattino del primo giorno del nuovo anno.
Osservando questo e pensando a quello che sarà nelle prossime ore, mi è venuto in mente un racconto di Charles Dickens che descrive i festeggiamenti dell'ultimo dell'anno nella Londra del 1836 e interessanti sono le similitudini che a distanza di quasi due secoli si possono ancora intravvedere. Il racconto si intitola 'L'Anno Nuovo' e Dickens, prima di immedesimarsi nel racconto della festa che si sta svolgendo nella casa dalle persiane verdi di fronte alla sua, da cui osserva il via e vai degli ospiti e della servitù con i rifornimenti, introduce con queste parole:
“..Devono pur esserci alcune circostanze dell'anno vecchio che possiamo rievocare con un sorriso di allegra reminescenza, se non con un sentimento di sincera gratitudine. E ogni norma di giustizia ed equità ci impone di dare credito all'Anno Nuovo di essere buono, finchè non si dimostri indegno della fiducia che gli accordiamo”.
Osservando i preparativi della festa, l'abbigliamento e le acconciature dei primi ospiti in arrivo, Dickens intuisce che la festa che si sta svolgendo è senza alcun dubbio un 'ricevimento con ballo di quadriglia', probabilmente organizzata da un alto funzionario pubblico, che quindi richiamerà persone di altrettanta levatura sociale.
Fra questi vi è un tal Mr Tupple, un giovane azzimato in carriera, che essendo stato invitato per il semplice motivo che lavora nell'ufficio del padrone di casa, si fa accogliere, accettare e gradire da tutti riuscendo sia ad intrattenere le signore con le buone maniere e discorsi vari e superficiali al punto giusto, sia sollevando applausi di riconoscimento del pubblico maschile al padrone di casa ossequiandolo con mille complimenti e più. Questo Mr Tupple è l'emblema dell'invitato mezzo sconosciuto che riesce ad attirare l'attenzione per essere 'l'ospite modello' nell'ambito dei rituali dell'alta società, dove le frasi fatte, gli opportuni elogi al pubblico maschile e le giuste galanterie a quello femminile, nonchè la giusta dose di musica e alcolici rendono lieta anche la festa più scontata. Così conclude la descrizione della festa Dickens:
“..Giovanotti già troppo timidi per ballare prima di cena ora trovano favella e compagna di danza; i musicisti mostrano inequivocabili sintomi di avere, in assenza dei convitati, accolto l'anno nuovo con libagioni; e il ballo si prolunga fino alle ore molto avanzate del mattino dell'anno nuovo.”
E allora nel ripetersi della festa che annuncia i dodici rintocchi solenni che sanciscono l'inizio di un'altra pietra miliare della nostra vita non mi resta che augurare a tutti 

lunedì 30 dicembre 2013

Zuccotto e Zuppa Inglese: la tradizione dei dolci delle festività natalizie

La mia famiglia è di origini emiliane e uno dei dolci 'mitici' o 'mitologici' che dir si voglia, che per anni non poteva assolutamente mancare a tavola durante le festività natalizie, porta il nome di 'Zuccotto'. 
A me non ha mai fatto impazzire perchè, seppur gli ingredienti di base siano eccezionali (Pan di Spagna, savoiardi, crema di ricotta, cioccolato e panna a volontà spesso sostituiti con creme di gelato), nella versione amata in famiglia è letteralmente inzuppato di Alchermes, quel liquorino rosso alla cocciniglia che a me proprio non piace. In realtà non mi piace nessun dolce con dentro del liquore che si senta, compreso il tiramisù ubriacone in cui a volte mi capita di incappare. Tornando allo Zuccotto, questo è un dolce semifreddo di origine fiorentine che ha la forma secondo alcuni di cappello da prete o secondo altri di elmo di soldato. Bene, per molti molti anni, e nella versione chiamata 'alla Zuppa Inglese' per il liquore di cui sopra, ha trionfato a tavola poiché, essendo il dolce preferito anche dal fratellone, che per primo si è 'staccato' dalla famiglia di origine, questo veniva servito ogniqualvolta egli tornava per le festività. A onor del vero oltre a questo dolce in tavola ne venivano serviti anche altri, per cui la mia insofferenza verso il semifreddo svaniva in un battibaleno.
Nel tempo questa usanza si è un po' sfumata, un po' perchè in Veneto non è facile trovare lo Zuccotto nelle pasticcerie, un po' perchè il fratellone per motivi logistici non era sempre con noi a Natale, per cui il dolce a cupoletta è stato sostituito da altre delizie non alcoliche. Ma come d'incanto, da quando anch'io mi sono staccata dalla famiglia di origine per formarne una tutta mia, ecco risbucare fuori una tradizione molto simile a quella di cui sopra! In questo caso non trattasi di Zuccotto alla Zuppa Inglese ma della Zuppa Inglese vera e propria. Anche questo dolce, nonostante il nome, si narra che abbia origini toscane e che fu inventato da una domestica appunto toscana che era al servizio di una famiglia inglese e che, per non buttare via i biscotti avanzati dal giorno di Natale li inzuppò di liquore e li farcì di deliziosa crema pasticcera e al cioccolato, dando origine così al famoso dolce tutt'altro che inglese. La nonna di mio marito, che da giovane prestava servizio presso una famiglia a Roma dove la Zuppa Inglese veniva preparata nel periodo natalizio, ha portato questa tradizione nella sua famiglia di origine veneta e, da allora ad oggi, annualmente ne viene preparata una maestosa riproduzione con budino al cioccolato, crema pasticcera, savoiardi, molto Pan di Spagna e...litri di Alchermes!
Per fortuna non sono l'unica a cui non piacciono i liquori nei dolci e allora, per par condicio, il suddetto dolce dalle dimensioni davvero notevoli viene preparato per due terzi in versione alcolica e un terzo in versione al caffè. Per i più piccoli poi viene anche preparato un mini formato con il Pan di Spagna bagnato con caffè d'orzo o con succo di frutta, e così alla fine sono tutti soddisfatti e satolli! Anche questa volta la 'persecuzione' dell'Alchermes è stata aggirata, ma evidentemente è destino che questa specie di elisir, che tanto mi ricorda un altro preparato rossiccio, altrettanto in disuso e anche più misterioso chiamato Assenzio, mi segua ovunque.



domenica 29 dicembre 2013

La neve cade

La neve cade, la neve cade.
Alle bianche stelline in tempesta
si protendono i fiori del geranio
dallo stipite della finestra.

La neve cade e ogni cosa è in subbuglio,
ogni cosa si lancia in un volo,
i gradini della nera scala,
la svolta del crocicchio.

La neve cade, la neve cade,
come se non cadessero i fiocchi,
ma in un mantello rattoppato
scendesse a terra la volta celeste.

Come se con l’aspetto d’un bislacco
dal pianerottolo in cima alle scale,
di soppiatto, giocando a rimpiattino,
scendesse il cielo dalla soffitta.

Perché la vita stringe. Non fai a tempo
a girarti dattorno, ed è Natale.
Solo un breve intervallo:
guardi, ed è l’Anno Nuovo.

Densa, densissima la neve cade.
E chi sa che il tempo non trascorra
per le stesse orme, nello stesso ritmo,
con la stessa rapidità o pigrizia,

temendo il passo con lei?
Chi sa che gli anni, l’uno dietro l’altro,
non si succedano, come la neve,
o come le parole di un poema?

La neve cade, la neve cade,
la neve cade e ogni cosa è in subbuglio:
il pedone imbiancato,
le piante sorprese,
la svolta del crocicchio.
Boris Pasternàk

martedì 24 dicembre 2013

Buon Natale!

" Dalla nostra allegra casa
Per il mondo andiamo
Una settimana sola all'anno,
Inverno in primavera mutiamo
Con la gioia che portiamo,
Perchè è giunto il buon Natale.

Ora la stella orientale
Brilla da lontano
A illuminare le case dei più poveri;
E i cuori si scaldano,
E piovono regali,
Perchè è giunto il buon Natale.

E gli alberi felici crescono
Davanti agli occhi dei bambini,
Fioriscono di contagiosa allegria;
voci gioiose cantano,
E gaie suonano le campane,
Perchè è giunto il buon Natale.

Oh, felice scampanio,
Oh, tempo beato,
Che ci fa stare tutti tanto vicini!
'Benvenuto, giorno amato',
Dicono tutte le creature,
Perchè è giunto il buon Natale."
                                      L. M. Alcott








Merry Christmas to all of you!

domenica 22 dicembre 2013

L'Albero di Natale: visioni felici e visioni tristi

Uno dei simboli per eccellenza del Natale è l'albero, che qualche settimana prima del 25 Dicembre viene preparato ed addobbato con lucine, pacchetti, palline e piccoli oggetti.
E' sotto l'albero che vengono messi i regali la notte del 24 da un 'Babbo Natale' che, assonnato, in pigiamone e senza renne che lo accompagnano (al massimo è seguito da un cagnolone o un bel gattone domestico), alimenta l'immaginazione dei suoi bambini! L'albero è il simbolo della vita e del suo rinnovarsi, sia nella tradizione pagana che in quella cristiana, e si narra che il primo albero allestito specificatamente per le feste di Natale, di cui si ha memoria scritta, sia stato preparato nella città tedesca di Riga nel 1510. Per qualche secolo rimase tradizione quasi esclusiva delle popolazioni di religione protestante dell'Europa del Nord, e bisognerà attendere il 1800 per vederne la massima diffusione anche nell'ambito della religione cattolica. Penso che ognuno di noi abbia provato da bambino la gioia e l'allegria della preparazione dell'albero, la magia che si rinnova ogni qualvolta si accendono le luci e la sorpresa carica di speranza nello scoprire quei colorati pacchetti alla sua base la mattina del 25 Dicembre.
Mia mamma mi racconta spesso di come ai suoi tempi gli alberi erano addobbati con fiocchi di cotone, mandarini, frutta secca e monete di cioccolato. Io ricordo ancora i colori e le forme delle palline che più mi piacevano dell'albero che si preparava in famiglia quando ero piccola: sono poche quelle sopravvissute ancora oggi! Tutto ciò per dire quanto sappia di gioia e di festa questo speciale momento. Così, provando a cercare nella letteratura, specialmente quella dell'800, qualcuno che lo abbia decantato con arte e sapienza, ero contenta di aver scoperto che autori come Hans Christian Andersen o Charles Dickens stesso avevano dedicato dei racconti proprio all'albero di Natale. Ma quale sorpresa però... Ne 'L'albero di Natale' di Andersen, l'autore narra con grazia e semplicità il viaggio di un bellissimo abete che fin da giovane ammirava con un po' di invidia tutti gli alberi adulti che venivano scelti e portati via per essere utilizzati ed addobbati in occasione del Natale. Non riusciva a godere della natura, degli animali che sotto di lui trovavano ricovero, degli uccellini che cinguettavano in primavera e del caldo sole che lo ritemprava in estate. L'albero pensava solo a quando sarebbe stato il suo turno per raggiungere lo splendore a cui era destinato. Così un giorno fu scelto e portato in una casa signorile dove la servitù lo preparò con fiocchi e candele, i bambini ne ammirarono lo sfarzo per qualche istante fino all'apertura dei doni e, dopo questi pochi momenti felici, venne trascinato dalla stessa servitù in soffitta al buio, dove l'albero rinsecchì fino al giorno in cui fu tagliato a pezzi e bruciato.
Nella frase finale dell'albero che sospira mentre brucia è riassunta la morale di questa fiaba per bambini: “Se almeno mi fossi rallegrato quando potevo! Finito! Finito!”. Profondo il significato ma un po' triste l'epilogo natalizio dell'albero.. Non parliamo poi di Dickens che nel suo singolare racconto 'A Christmas Tree' del 1850 circa, parte dalla descrizione felice e gioiosa degli addobbi di un bell'albero di Natale che è ornato con giocattoli di legno tedeschi, piccoli pacchettini con fiocchetti colorati e mano a mano che ne descrive le caratteristiche si sposta con l'immaginazione alla sua infanzia (come è noto non proprio felicissima) e improvvisamente gli oggetti assumono un dimensione diversa, animata e a tratti spaventosa perchè riportano a galla tutti i suoi incubi di bambino: così l'uomo di cartoncino che si appendeva e si tirava con una cordicella per lui si contorceva in mosse sinistre; la maschera che da gioco diventa sguardo fisso e terrificante che neanche a chiuderla a chiave in un mobile toglie la paura; o il bel colore del mantello di Cappuccetto Rosso che ben si intona con il Natale diventa ammonimento del suo tragico destino ad opera del lupo nella tetra foresta..e man mano che Dickens descrive l'albero dalle radici alla punta, gli incubi si fanno sempre più un tutt'uno con la sua fervente immaginazione in uno spazio onirico esclusivo popolato di personaggi sinistri e fantasmi. Poi il ritorno alla realtà nell'ultima pagina dove l'autore conclude il racconto con un messaggio di speranza e fiducia quasi ad esorcizzare le sue ataviche paure rimandando alla grandezza di Dio che governa con “..la legge dell'amore e della bontà, della misericordia e della compassione”. Per questi autori pensieri felici e tristi circondano l'aurea magica di questo simbolo del Natale, perchè l'adulto nel tempo perde l'ingenuità del bambino e non si ferma all'effetto gioioso che l'esperienza, soprattutto se bella e festosa, dona al suo piccolo essere. Per fortuna però in molti adulti quell'ingenuità non viene persa del tutto e così, molto spesso, per queste persone i pensieri tristi tendono a sfumarsi in questo periodo dell'anno.

giovedì 19 dicembre 2013

E' tempo di Natale..

Manca poco meno di una settimana al Natale e l'aria comincia a caratterizzarsi di quella magia e di quell'attesa che mai viene meno nonostante i tempi difficili in cui viviamo.    
I preparativi nel mio caso sono partiti da poco, molto ancora mi resta da fare in questo week end, ma tutte cose che distolgono dai pensieri più importanti e impegnativi che mi aspettano con il nuovo anno. Non mancano in questo periodo le letture a tema natalizio, di cui posterò qualcosa, e non, che sono più o meno sempre di autori/autrici dell'Ottocento. In sequenza, dopo i festeggiamenti con i parenti, faremo una capatina in montagna e poi, il 4 di Gennaio mi aspetta un'avventura di cui non voglio anticipare nulla perchè prima devo 'viverla' e poi ne racconterò ogni minimo dettaglio! Il periodo natalizio è il mio preferito perchè mi da quella sensazione che tutto si prenda una giusta pausa per dedicarsi agli altri in qualche modo o dedicarsi in un modo diverso anche solo a se stessi...e questo è un ottimo spunto per passare un felice Natale tutti quanti.




domenica 15 dicembre 2013

Jane Austen e i film di Richard Linklater: passione, amore e sintonia possono resistere nel tempo?

Premetto che l'esercizio che mi accingo a fare può sembrare azzardato, magari lo è, ma il mettere a confronto il romanzo di Jane Austen da me in assoluto preferito, 'Persuasione', con i 3 film del regista Linklater 'Before Sunrise', 'Before Sunset' e 'Before Midnight'
mi è venuto quasi naturale dopo aver completato la visione della trilogia cinematografica. La mia passione per Jane Austen è nota mentre questi film per me sono una scoperta molto recente, poiché non li avevo mai sentiti nominare e li ho conosciuti solo a seguito delle recensioni sui blog cinematografici che seguo. Detto e fatto, li ho recuperati e visti in sequenza molto stretta! Before 'Sunrise': nel 1995, i poco più che ventenni Jesse, americano e Celine, francese, si incontrano occasionalmente in treno e fra loro scatta un'intesa e una passione che li porta a passare fuori programma un'unica ed intera giornata assieme a Vienna. Le poche ed intense ore trascorse saranno determinanti per
fondare il loro ideale romantico di amore eterno che, sigillato in una promessa di rivedersi dopo 6 mesi nello stesso posto, li porta a sublimarsi in esso. 'Before Sunset': le circostanze non aiutano Jesse e Celine a mantenere la promessa di rivedersi e non potendo rintracciarsi si incontrano dopo quasi 10 anni a Parigi, durante il tour promozionale del libro scritto da Jesse, che parla proprio della loro storia d'amore. Le poche ore che si dedicano prima della partenza di lui per l'America, annullano in un colpo solo lo spazio temporale della forzata lontananza e l'insoddisfazione delle reciproche storie personali: l'amore mai assopito e in parte idealizzato di Jesse e Celine torna ad essere attrazione unica ed assoluta per entrambi con nuove e più mature sfumature. 'Before Midnight': è il 2013 e non si capisce subito se 9 anni prima Jesse aveva ripreso l'aereo per tornarsene in patria. Si scopre poi che non solo i due protagonisti sono rimasti assieme, ma che hanno avuto 2 gemelle e che vorrebbero completare la famiglia con l'inclusione in forma permanente anche del figlio di Jesse, che vive negli USA con la ex moglie. Emerge subito la sintonia mai persa fra i due protagonisti, che avendo però acquisito nel rapporto solidità, confidenza e conoscenza reciproca più profonda, mettono allo scoperto anche tutti i difetti e le fragilità che smitizzano e raffreddano sia la passione che l'amore nella loro forma più romantica.
La sfida è quella di resistere negli anni, di provare a crederci ancora nel ricordo di quello che ha fatto di loro la coppia che sono, nonostante i segni visibili del tempo e i momenti difficili che contrassegnano inevitabilmente le storie di chiunque. Qualcuno ha definito questa trilogia una vera e propria saga, che potrebbe benissimo proseguire dopo un altro opportuno intervallo temporale; ma se saga è nel senso cinematografico del termine è anche rappresentazione fedelissima ed estremamente umana di una realtà in cui molti possono riconoscersi. Dopo aver visto quindi i film, le mie riflessioni mi hanno portata a fare il paragone con 'Persuasione' per il semplice motivo che anche nel romanzo austeniano viene trattato il tema dell'incontro, del riconoscimento di essere l'uno la metà giusta per l'altra, della perdita (causale nei film e forzata nel romanzo) e del ritrovarsi dopo poco meno di 10 anni, annullando in pochi attimi l'intervallo temporale che da solo non è riuscito a rompere quel legame profondo e unico nato in giovane età.
 La Austen descrive poco e lascia trapelare magistralmente dai ricordi di Anne la prima fase dello sviluppo della storia della sua eroina e del bel Capitano Wentworth. La passione e l'entusiasmo che permettono di andare oltre ogni convenzione sono però l'elemento portante di questa fase di innamoramento. Molto più dettagliata e snodo centrale dello sviluppo della storia invece è, nel romanzo ottocentesco, la seconda fase, quella del ritrovamento, della riconciliazione e dello sviluppo vero e proprio di quell'amore profondo che fino ad allora era stato solo il riflesso idealizzato della passione giovanile. Ma, come in 'Before Sunrise', la iniziale diffidenza, il chiarirsi dell'inconveniente non voluto che ha determinato la separazione e la nuova consapevolezza di essere irrimediabilmente parte uno dell'altra seguono lo stesso schema e sviluppo per portare al giusto coronamento di questo umano ed eterno sentimento. La differenza sostanziale che invece caratterizza il mio singolare accostamento del romanzo 'Persuasione' con i tre film di Linklater è che la Austen, qui come in tutti gli altri suoi romanzi, si ferma in quello che potremmo
definire l'apice della storia d'amore, si ferma al suo coronamento con il matrimonio e non lascia spazio a quello che potrebbe essere il successivo evolversi nel bene e nel male delle vicende dei due protagonisti se non con brevissimi e molto sfumati accenni. Rimane quindi assoluto l'effetto positivo del percorso fatto dagli innamorati, pur fra mille difficoltà iniziali, e sembra quasi che la Austen, che di realismo ne aveva donde, non voglia intenzionalmente rovinarne l'aurea narrando il seguito che inevitabilmente porta ad affievolire nella quotidianità anche le storie più intense. In 'Before Midnight' invece questo è rappresentato molto bene, anche se, a mio avviso, con a tratti un eccesso di sottolineature su aspetti come il sesso perduto, l'antagonismo professionale e le abitudini casalinghe (lui che sporca, lei che pulisce sempre, etc..). Non posso dire che mi sia piaciuto quest'ultimo film, ma per come sono fatta, provo uguale interesse sia nell'immaginarmi come la storia possa continuare senza avere troppi suggerimenti, sia nell'osservare come gli altri hanno deciso di svilupparla, anche se io avrei preferito altri finali.. 

lunedì 2 dicembre 2013

‘Romanzo rosa’ di Stefania Bertola, il genere Melody e i corsi di formazione




E’ da quasi un mese che non riesco a scrivere una riga nel mio blog, un mese intenso per le decisioni prese e le conseguenze da gestire in ambito professionale, che non mi hanno dato tregua nelle ultime settimane, sia a livello emotivo che pratico: ho lasciato il lavoro dopo 13 anni nello stesso posto e ora sto valutando cosa
voglio fare da qui in avanti. Tempismo perfetto, direbbe qualcuno visto il momento, e il bello è che non sto cercando di fare una cosa simile da qualche altra parte, ma sto valutando cosa davvero voglio fare per non ricadere nel loop senza via d’uscita di prima. Ma sono ottimista nonostante tutto e convinta che qualcosa di buono salterà fuori! Quindi, adesso che è Dicembre, mese di festa e di messa a punto dei buoni propositi per l’anno nuovo (questo per me più che mai) voglio riprendere ad alimentare queste ‘pagine’ con la giusta frequenza (ecco il primo proposito!). Come sa chi mi segue da un pò, quando vado sotto stress e il poco tempo si riduce al massimo per film, letture e riflessioni e ho quindi bisogno a tutti i costi di una lettura che mi aiuti a traguardare il momento, applico la tecnica della ‘scelta a pancia’ di cui ho già accennato in quest'altro post. La copertina della scelta fatta la settimana scorsa anche questa volta buttava sul rosa, con tocchi però di bordeaux, le pagine andavano un po’ oltre le 150, questo ne ha 200 tonde ma va bene lo stesso, e il titolo era perfetto: ‘Romanzo rosa’. Stefania Bertola è l’autrice, una scrittrice torinese di cui non avevo mai sentito parlare e di cui non avevo ancora letto nulla, ma devo dire che con questo romanzo (del 2012 Ed. Einaudi) mi ha davvero risollevato non solo l’umore ma fatto passare momenti piacevoli e divertenti che consiglio a chiunque abbi bisogno di un non banale sollievo. Il titolo sa tanto di ‘Harmony’ ed infatti parla di questo genere ma senza esserlo, o meglio si’ in parte lo è ma come caricatura che alla fine volge ad altro. La scelta della trama è geniale e davvero simpatica, poichè senza uscire dalla routinaria e scialba quotidianità della protagonista, ne descrive una settimana sola di vita particolarissima che apre una parentesi ricca di  aneddoti, personaggi e colpi di scena inaspettati. Entrando nel vivo del romanzo – quindi da qui attenzione spoiler – l’autrice racconta di Olimpia una bibliotecaria di 58 anni, che vive sola con due gatti a farle compagnia, in una minuscola casetta con mini giardino, tirando avanti modestamente per far quadrare i conti e che ha come unici svaghi le visite delle nipoti ormai grandicelle e nel pieno dei conflitti amorosi e, di
domenica, le visite della vicina di casa per qualche partita a canasta. Niente di più ordinario senonché Olimpia decide di iscriversi ad un corso di formazione della durata di 8 giorni presso il Circolo dei Lettori che insegna a scrivere un romanzo in soli 8 giorni appunto! Il genere è quello definito dei ‘Melody’, per me da sempre ‘Harmony’, le cui collane infinite da sempre fanno sognare un tipo di pubblico femminile che vuole storie semplici, non d’autore, dove lui è l’uomo dei sogni, lei l’eroina che vince sempre e con la degna conclusione di un bel matrimonio  perfetto a coronamento del tutto. La cosa geniale di questo libro è che a chi legge sembra di frequentare davvero il corso, perché si trova descritte le dispense distribuite da un’eccentrica docente/famosa autrice di Melody, dove viene spiegato come si deve scegliere il genere (l’hot fire, il melody poliziesco, il melody history o l’ECS  alias ‘esperienze e creature sovrannaturali’, etc), il tipo di situazione base (tre in tutto), il nome dei protagonisti, piuttosto che le ambientazioni o i personaggi di contorno. Ogni capitolo quindi si apre con la dispensa con le istruzioni generali ma anche particolari di come si deve procedere capitolo dopo capitolo del libro da creare, fino alla conclusione assolutamente necessaria per il genere, della dichiarazione d’amore con richiesta della mano da parte di lui. Ma la cosa ancora più divertente è che in questo romanzo vengono riportati gli sforzi letterari di Olimpia, i diversi capitoli scritti ogni sera per l’indomani,  con i commenti e le sonore bacchettate che la tremenda Forneris (la docente tutta tacchetti, braccialetti e golf di angora rosa) rivolge a lei e agli altri partecipanti al corso. In più Olimpia, oltre che essere attiva nella sua impresa di diventare scrittrice, è anche spettatrice delle storie che nascono fra gli allievi del corso e in qualche caso anche confidente e dispensatrice di saggi consigli. Non descrivo la conclusione perché davvero ne consiglio la lettura, che
in due giorni al massimo è completabile senza problemi. Voglio però sottolineare come sia stata brava questa autrice a lavorare su diversi metapiani senza creare confusione e descrizioni inutili ma cogliendo con grande ironia sia l’essenza del genere Melody, spesso disprezzato eppure sempre attualissimo, e della quotidianità semplice e fatta di sacrifici delle persone comuni, che dedicandosi una parentesi per sé (il corso in questo caso) riescono a scoprire nuove opportunità o a fare nuove conoscenze che cambieranno le loro vite. A questo punto, penso che comincerò a cercarmi un bel corso di formazione e magari come Olimpia scoprirò un talento inespresso che mi farà chiarezza sul cosa voglio fare davvero da qui in avanti, chissà..

domenica 10 novembre 2013

'Un incantevole Aprile': come le scelte di rottura determinano svolte importanti



Quattro donne, con motivazioni diverse, fanno la stessa scelta di rottura, un viaggio lontano da tutto e tutti, e questa scelta le porterà ad una svolta decisiva della propria vita: questa è la super sintesi di un bel romanzo di Elizabeth Von Arnim intitolato ‘Un incantevole Aprile’. In tre giorni della scorsa settimana ho finalmente visto
il film di Mike Newell (del 1992), registrato diversi mesi fa ma a cui non ero ancora riuscita a dedicarmi, e letto il libro, pubblicato per la prima volta nel 1922. Le protagoniste sono delle signore inglesi degli anni ’20 di diverse età, chi nobile o della upper class e chi della media borghesia, ognuna rinchiusa nella sua quotidianità o per meglio dire nella sua ‘gabbia’ che nel tempo le ha o annullate alla vista degli altri, o congelate in uno stereotipo in cui loro stesse non riescono più a riconoscersi. Così Mrs. Wilkins, la prima a cui viene l’idea, piuttosto anticonformista per quei tempi, di andarsene per un po’ in viaggio senza marito, è una donna ‘soprammobile’, quasi un oggetto, non troppo prezioso, da esibire ogni tanto in pubblico per completare lo status di uomo d’affari perfetto dello stimato marito, belloccio e competente. Mrs. Arbuthnot, donna sola, pia e religiosissima dentro e fuori - tutti infatti dicono di lei che ha i tratti di una madonna triste - indossa questa maschera per sfuggire da un lato alla vergogna di un marito che per vivere fa lo scrittore di romanzi erotici e, dall’altro, per soffocare il desiderio verso lo stesso che non la degna di uno sguardo e che conduce la sua allegra vita sociale senza scrupoli. Mrs. Fisher, l’anziana signora con l’inseparabile bastone, che vive nei ricordi di un passato che non c’è più, che la sostiene però a sua volta come una struttura da cui teme di separarsi. Nomi altisonanti infatti compongono le travi di questa struttura, Carlyle, Tennyson, ma è una struttura fatta di relazioni con persone che non esistono più, e quindi fuori dalla realtà e con un equilibrio molto precario. E infine Lady Caroline Dester, la bellissima e giovane nobildonna, già stanca a 28 anni di recitare una parte che non le appartiene, quella dell’angelo irraggiungibile, adorato e desiderato da tutti sempre e in ogni luogo, ruolo che l’ha fatta invecchiare dentro precocemente e soprattutto che non le ha mai permesso di creare dei rapporti profondi con chicchessia.
Queste quattro signore decidono per un concatenarsi di casualità di andarsene per tutto il mese di aprile dalla uggiosa Londra in un soleggiato paesino italiano in Liguria, chiamato San Salvatore. Attraverso questo viaggio, parafrasando Marcel Proust, ognuna di loro non cercherà solo una nuova terra da scoprire, ma acquisterà nuovi occhi, per vedere la realtà e per agire la stessa in maniera completamente diversa. Nel caso di Mrs Wilkins e di Mrs Arbuthnot saranno i rispettivi mariti a ‘vedere’ per la prima volta le mogli in modo nuovo ed affascinante; nel caso di Mrs. Fisher, abbandonato il bastone e i fantasmi del passato, sarà lei a ritrovare il modo giusto di vivere la realtà e le sue insicurezze; nel caso di Lady Caroline, lei stessa si accorgerà che non necessariamente ruota tutto attorno a lei e che esiste anche chi la può vedere oltre la maschera perfetta della sua bellezza, e cioè con tutti i suoi limiti e difetti.
La consapevolezza acquisita da queste donne è una conquista di chi ha avuto il coraggio di spezzare un habitus, un modo convenzionale e ormai consolidato di fare o vivere a cui in qualche modo si erano adattate, ma che le faceva soffrire nel profondo. Se pensiamo poi agli anni in cui è stato scritto questo romanzo, si può ancora di più apprezzare il coraggio di queste quattro signore nel fare la loro scelta di rottura e quindi il messaggio di libertà per le donne che l’autrice in modo molto elegante e pacato ha voluto sottolineare.  Il film è ben fatto e fedele al libro, non è eccezionale ma coglie benissimo le atmosfere e i passaggi del ‘viaggio della vita’ delle quattro protagoniste. Il romanzo è piacevole e delicato, si sofferma molto sulla descrizione della natura, delle piante e dei fiori di cui la Von Arnim era un’appassionata conoscitrice, del contesto stesso che si fonde con l’anima delle signore inglesi e che fa si che diventi con loro un tutt’uno.                                                                           
A volte avere il coraggio di rompere lo schema è importante, non si sa di preciso cosa poi ne può conseguire, ma sicuramente da la possibilità di uscire da un sofferto torpore in cui nonostante tutto ci si adagia inconsapevolmente.

venerdì 1 novembre 2013

Halloween, le streghe e i vampiri



Ieri era Halloween e siccome la globalizzazione non è solo una idea sociologica dell’ultimo decennio, anche da noi questa festa molto americana ha preso parecchio piede. Chi poi ha bambini sa bene che il rituale del ‘treat or trick’ è
quasi un obbligo, sempre che non si riesca a sviarlo con una festina carnevalesca sostitutiva. Io ho scelto la seconda e, sebbene in formula ristretta (erano 8 bambini/e fra i 2 e i 6 anni), il caos e il divertimento ‘mostruoso’ sono stati i veri protagonisti del tardo pomeriggio di ieri.
Documentandomi un po’ ho scoperto però che la festa di Halloween, pur arrivando dagli USA,  in realtà ha lontane origini celtiche. Come ho trovato sul sito irlandando.it, che qui cito e ringrazio:
 “..Halloween corrisponde a Samhain, il capodanno celtico. Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti, che, spinti dalla terribile carestia dell’800, si diressero numerosi nella nuova terra.

Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che significa Santo: la vigilia di tutti i Santi, quindi.

I Celti erano prevalentemente un popolo di pastori, a differenza di altre culture europee, come quelle del bacino del Mediterraneo. I ritmi della loro vita erano, dunque, scanditi dai tempi che l’allevamento del bestiame imponeva, tempi diversi da quelli dei campi.

Alla fine della stagione estiva, i pastori riportavano a valle le loro greggi, per prepararsi all’arrivo dell’inverno e all’inizio del nuovo anno. (…) Il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti, lo Samhain  che si celebrava fra il 31 Ottobre e il 1° Novembre, e  il cui significato deriverebbe dal gaelico samhuinn e significa “summer’s end”, fine dell’estate. (…). L’evento serviva ad esorcizzare l’arrivo dell’inverno e dei suoi pericoli, unendo e rafforzando la comunità grazie ad un rito di passaggio che propiziasse la benevolenza delle divinità.

La morte era il tema principale della festa, in sintonia con ciò che stava avvenendo in natura: durante la stagione invernale la vita sembra tacere, mentre in realtà si rinnova sottoterra, dove tradizionalmente, tra l’altro, riposano i morti. Da qui è comprensibile l’accostamento dello Samhain al culto dei morti.

Samhain era, dunque, una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti che in quell’occasione ritornavano sulla terra, all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno. Durante la notte del 31 ottobre si tenevano dei raduni nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell’accensione del Fuoco Sacro e venivano effettuati sacrifici animali. Vestiti con maschere grottesche, i Celti tornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro.
Dopo questi riti i Celti continuavano i festeggiamenti per altri 3 giorni, mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti.

In Irlanda si diffuse l’usanza di accendere torce e fiaccole fuori dagli usci e di lasciare cibo e latte per le anime dei defunti che avrebbero reso visita ai propri familiari, affinché potessero rifocillarsi e decidessero di non fare scherzi ai viventi.”

Da qui i festeggiamenti, le maschere, i fuochi dentro le cipolle che poi sono diventate zucche e i dolcetti alla porta per scongiurare gli scherzetti degli spiriti.

Gli spiriti e i mostri sono stati spesso rappresentati come streghe, mostri, fantasmi e vampiri. E infatti alla festa di ieri erano presenti ben 5 vampiri, una streghetta e un mini fantasma (una bimba si è rifiutata invece di vestirsi); e c’erano le zucche, le dita mozzate delle streghe e i ragni.

Oggi poi per completare il tutto mi sono vista ‘Dark Shadows’ del 2012 di Tim Burton con Johnny Deep, Eva Green e
Michelle Pfeiffer. Un film gotico e surreale, come solo Tim Burton sa fare, che narra la storia del vampiro Barnabas Collins  che dopo quasi 200 anni di sonno torna ‘in vita’. Catapultato negli anni ’70, Barnabas cercherà di reinserirsi nella famiglia composta dai suoi singolari discendenti e di riportare in attivo la vecchia e lucrosa attività di commercio che avevano fondato i suoi genitori. Ritroverà l’amore e anche la strega che in quanto immortale continua a perseguitarlo per amore e gelosia. Un film burtoniano con l’attore burtoniano per eccellenza, Johnny Deep: non posso dire che non mi sia piaciuto (l’atmosfera era perfetta per la festa appena passata) ma neanche che mi abbia fatto impazzire. Un po’ sconclusionata la trama e in certi passaggi poco convincente, con un protagonista parente un po’ lontano dei magnifici Edward mani di forbici e Ichabod Crane de ‘I misteri di Sleepy Hollow’ ma sempre Deep nell’anima. Belle le ambientazioni e lo humor nero che spesso traspare come puro divertimento più per il regista stesso che per il  pubblico.

Concludo quindi riponendo maschere e zucche, e mangiucchiando i molti dolcetti recuperati, procedo verso un lungo week end di pieno relax.


Buon Halloween in ritardo a tutti!

domenica 20 ottobre 2013

Judi Dench, quando il talento sospende il tempo


La prima volta che sono rimasta colpita da questa straordinaria attrice inglese è stata quando impersonava una terribilis Lady Catherine De Bourgh in ‘Orgoglio e Pregiudizio’ di Joe Wright del 2005.
La scena notturna in particolare, quando la Lady si reca in visita a casa di Elizabeth per intimarle di mettere fine alle presunte voci che vedevano quest’ultima coinvolta in una liason con suo nipote Fitzwilliam Darcy - perché lui era già predestinato come marito di sua figlia da quando erano entrambi nella culla – mostra davvero la bravura di quella che può essere considerata una stella del cinema eclettica e senza tempo. In barba infatti a chi si gonfia di botulino o acidi di vario tipo, questa splendida signora di 79 anni mostra tutti i segni del tempo con orgoglio e grande fascino, e in qualche modo mi ricorda la nostra Virna Lisi per classe, bravura  e inossidabilità. Inutile dire che in tutti i film dove poi l’ho incontrata di nuovo o su cui ho fatto mente locale di averla già vista, è stato un piacere osservarne le caratteristiche, la capacità di interpretazione, l’abilità di passare da un personaggio umanissimo e fragile come quello di Matilda Jenkyns nella serie TV della BBC del 2007 ‘Cranford’, a uno duro e spietato come quello di M, in ben 3 capitoli di James Bond. Si dice di lei infatti che in ‘Skyfall’ del 2012 ha letteralmente tolto la scena ad un attore di pregio come Daniel Craigh. Non ho visto film in cui recitava da giovane ma di sicuro ne ho visti molti di quelli in costume che amo particolarmente. In ‘Camera con vista’ del 1985, tratto dal romanzo di Forster, era una benestante signora inglese in vacanza in Italia, testimone dei tormenti amorosi della giovane protagonista Lucy; le faceva compagnia una singolare e bravissima Maggie Smith (la prof Mac Grannit di Harry Potter ). In ‘Mrs Brown’ di John Madden del 1997, Judi Dench interpreta in modo molto convincente la Regina Vittoria quando, ritiratasi dopo la morte del marito nella residenza  reale di campagna, rifiuta ogni
contatto con l’esterno e lascia al primo ministro la cura degli affari politici del paese. Solo la vicinanza del determinato e devoto John Brown, per cui in gioventù Vittoria aveva provato una forte passione, riporta la Regina all’interesse per il mondo e per il suo ruolo, fino alla decisione di tornare a Londra. Brown in questo film viene presentato come un secondo marito per la Regina e così come la maturità e il peso dell’esperienza traspare dall’interpretazione dei personaggi, non viene meno anche la delicatezza del sentimento dei due protagonisti che si affidano l’uno all’altra legati da una sorta di eterna promessa. Per questa interpretazione Judi Dench ha vinto un Golden Globe e per quella di soli 8 minuti nei panni della Regina Elisabetta in ‘Shakespeare in love’ del 1998 dello stesso regista ha vinto l’Oscar. Nel 2011 l’ho ritrovata con grande piacere in ‘Jane Eyre’ di Fukunaga, dove, vestendo i panni della vecchia e un po’ svampita governante di Rochester, Mrs. Fairfax, accoglie con fare materno e sincero la giovane Jane Eyre che si innamorerà perdutamente del padrone di casa determinando poi con il suo comportamento fiero e libero un drastico cambiamento nelle vicende di Thornefield Hall. La Dench


per me risulta intensa e convincente fino in fondo anche in questo ruolo, come in molti altri che non vado qui a citare. Faccio un’eccezione però per il  film ‘Marilyn’ del 2011 con una bravissima e molto somigliante Michelle Williams nei panni della mitica attrice degli anni ’50 e con Kenneth Branagh nei panni di un insofferente e stagionato Laurence Olivier. Qui la Dench interpreta Sybil Thorndike, un’attrice co-protagoinista dei due attori di cui sopra che durante le riprese de ‘Il principe e la ballerina’ è l’unica che, dall’alto della sua esperienza, vede, comprende e accetta per quelle che sono le debolezze e fragilità della Monroe  e che senza giudicarla la sostiene e la consiglia su come affrontare con il suo inconsueto talento le riprese del film partite con i peggiori auspici. Alla soglia degli 80 anni questa splendida donna, nata per recitare con maestria soprattutto i ruoli drammatici, e che nel tempo si è fatta apprezzare a

sempre più alti livelli, è diventata un volto che garantisce la riuscita anche di quelli che sembrano (o sono) film con medio potenziale, come ad esempio quello girato con la sua amica di lunga data Maggie Smith intitolato ‘Ladies in Lavender’  di Charles Dance del 2004, un film senza tempo, da vedere. Concludo affermando che la Dench è un’attrice britannica di prima scelta capace di illuminare e dominare lo schermo con espressioni intense ed uniche come solo l’esperienza e il talento possono fare.


sabato 12 ottobre 2013

Ho letto ‘Una carrozza per Winchester , l’ultimo amore di Jane Austen’ di Giovanna Zucca e ho trovato che…



Non sono in grado di fare una recensione vera e propria di un libro, non l’ho mai fatto e non intendo iniziare ora, ma trovo interessante invece fare e possibilmente condividere qualche riflessione su alcuni libri che leggo.
Proprio oggi ho completato il nuovo romanzo di Giovanna Zucca ‘Una carrozza per Winchester, l’ultimo amore di Jane Austen’ - 2013 Fazi Editore- che mi sono velocemente procurata grazie alle segnalazioni dei blog dedicati all’amata autrice citata nel titolo. In quanto romanzo è chiaro fin da subito che, pur attenendosi ad alcuni fatti e all’epilogo della singolare quanto straordinaria vita di una delle più grandi scrittrici inglesi dell’ 800, l’autrice si è immaginata gli ultimi mesi di vita di Jane Austen concedendole la possibilità di godere, seppur per poco e in modo non convenzionale, di un amore vero, profondo che le ha coinvolto per la prima volta contemporaneamente i sensi, la mente e il cuore. In realtà fra la Austen e il suo presunto ultimo amore, il dottore Thomas Addison, realmente esistito e a cui si attribuisce la scoperta del probabile morbo da cui ella era affetta e che l’ha portata alla morte, vi era uno scarto temporale di circa 30 anni. Nonostante ciò il modo in cui Giovanna Zucca è riuscita a riconciliare lo spazio temporale e a narrare gli ultimi mesi di vita della nostra eroina è davvero credibile ed avvincente. Mi è piaciuto molto come l’autrice sia riuscita a tenere compresenti il piano clinico da una parte, opportunamente descritto immagino grazie alla professione di strumentista e aiuto-anestesista che svolge nella quotidianità, e il piano filosofico che ha accompagnato in particolare i discorsi e le riflessioni di Jane Austen e il suo dottore (la Zucca ha una laurea in filosofia). Perché la filosofia è scienza, è la scienza del tutto perché si pone le domande per raggiungere la conoscenza della realtà delle cose. Così ho trovato
molto bello il dialogo fra i due protagonisti sull’atemporalità e l’eterna attualità delle opere della Austen, così come il senso di immortalità che può donare l’amore vero, quello che accetta l’altro per come è e che lo assurge ad unico vero mezzo per vivere in eterno, o tramite i figli con lui generati o tramite egli stesso nel caso sopravviva all’altro. Ho avuto la sensazione poi, ma forse erronea, che l’autrice volesse dare un  differente peso all’amore giovanile e all’amore tardivo che, sebbene abbiano di necessità connotazioni diverse e spesso un coinvolgimento diverso in termini intellettivi ed intellettuali, a mio avviso determinano comunque in entrambi i casi un coinvolgimento e una sofferenza in positivo o in negativo eccezionali e totalizzanti. Ho trovato molto pregnante l’aspetto psicologico emerso nella rappresentazione dei ‘parti’ letterari della Austen, estremizzato fino al punto da descrivere il rituale del passaggio del ‘neonato’ dalle braccia della madre a quelle del fratello e poi dalla descrizione del commiato sancito dalla frase ‘Vai per il mondo, mio bambino, e non tornare più’. Eccessivo?
Non credo, chi dedica energie, passione se non la vita intera ad uno scopo importante e per lui superiore, quando lo raggiunge è come generare, nel vero senso della parola. Il modo in cui all’inizio di ogni capitolo (o gruppi di capitoli) sia stato riportato un passaggio di uno dei romanzi della Austen, mi ha dato la sensazione che non fosse casuale ma che riportasse in qualche modo al contenuto dello stesso capitolo: ‘l’Abbazia di Northanger’ quasi a sottolineare l’ingenuità delle giovani ragazze, Angelica e Jane Mary, che hanno inconsapevolmente fatto generare l’amore fra il dottore e l’ammirata autrice; ‘Ragione e sentimento’ dove si descrivono le dinamiche familiari di Jane e sua sorella Cassandra e i rapporti con i vicini di casa; o infine ‘Persuasione’ nel capitolo dove Jane finalmente corona il suo sogno d’amore in età tardiva.  La forma utilizzata negli scambi epistolari in particolare mi è sembrata un po’ forzata, soprattutto all’inizio quando Jane Mary chiede al padre, grande luminare, di intervenire con un consulto in merito alla malattia di Jane Austen. In generale però mi è piaciuto lo stile utilizzato perché è riuscito a mantenere il riferimento al periodo storico d’ambientazione e a dare il giusto spessore drammatico ad alcuni passaggi del romanzo. Al termine del libro si ha la sensazione che le cose possano essere davvero andate così, ovvero che sebbene l’inesorabile procedere della malattia abbia impedito a Jane Austen di andare oltre i suoi 42 anni, questa straordinaria donna sia riuscita ad esaudire quel desiderio di amore vero e corrisposto che pur descritto in tutte le sue grandi opere non era mai riuscita a trovare nella realtà. Insomma è un libro che consiglierei davvero di leggere e non solo alle appassionate della scrittrice inglese, ma a chi crede che l’amore possa dare una possibilità a tutti anche nei momenti più impensabili.

domenica 6 ottobre 2013

Mr Darcy, i cupcakes e le scelte della vita



Quest’estate fra le letture che sono riuscita a fare c’è stata quella di un romanzo che avevo scelto sia perché non sembrava troppo impegnativo sia perché aveva un riferimento ai carissimi romanzi di zia Jane, ‘Un cupcake con Mr Darcy’ di Giovanna Fletcher.
Ad essere sincera non avevo grandi aspettative, ma ho dovuto presto ricredermi. – Attenzione Spoiler - Il romanzo si svolge ai giorni nostri e parla di una ragazza inglese quasi trentenne, Sophie, che lavora in una tearoom di un paesino della campagna inglese. Grazie a questo lavoro che adora e a Molly, la titolare del negozio nonché sua migliore amica nonostante la differenza di età, Sophie è riuscita a trovare quell’equilibrio che le permette di non far riaffiorare la tragedia della morte del padre avvenuta quando era una ragazzina egocentrica e viziata. A seguito del fatto che la produzione che aveva deciso di girare una serie TV sul più famoso romanzo di Jane Austem ‘Orgoglio e Pregiudizio’, stava girando alcune scene proprio in quel paesino inglese, Sophie conosce casualmente Billy, uno degli attori più affascinanti e conosciuti del momento e fra i due scoppia una storia d’amore travolgente. Billy non poteva che interpretare la parte di Mr Darcy e, nonostante i gossip che lo rappresentavano come uno sciupafemmine, in realtà si rivela un bravo ragazzo molto legato alla famiglia e dai sani principi. Sophie decide d’un tratto di cambiare tutto nella sua vita: va a vivere a Londra a casa di Billy, lascia il lavoro tanto amato, frequenta gli ambienti del cinema, sfila sul red carpet e partecipa a party dove incontra niente meno che Jude Law. Ma ben presto si ritrova più sola che mai nonostante sia con l’uomo che ama: è lontana dalla madre e dalla sua cara amica, dalle sicurezze che si era creata nel tempo e tutte le sue fragilità e sensi di colpa riaffiorano.
Così, anche a seguito della gelosia insinuata da malelingue invidiose, Sophie decide di lasciare Billy e di tornare a casa dopo un rocambolesco pedinamento dei paparazzi che svelano la tragedia della morte accidentale del padre. A peggiorare il tutto si aggiunge la notizia che alla sua cara amica Molly restano pochi giorni di vita a causa di un cattivo male e riesce a stento a darle l’ultimo saluto. Ma a volte le svolte, i grandi cambiamenti possono aprire anche delle porte inaspettate ed ecco che Molly le lascia in eredità  la tearoom, che Billy sceglie di starle accanto scendendo a compromessi con il suo lavoro di attore e Sophie dunque non solo ritrova una nuova sé più matura ed equilibrata ma anche realizzata negli affetti e nel lavoro.
Il libro è delicato, non volgare e non trascende nel patetico, nonostante le tragedie di cui narra, e in una lettura semplice e fluida dà risalto a due stili di vita completamente opposti, quello patinato delle star e quello quotidiano di un paesino di provincia con i suoi rituali. Quello che mi è particolarmente piaciuto di questo libro è che sottolinea che a volte prendere delle decisioni di ‘rottura’ può essere faticoso e inizialmente può anche non essere sempre positivo. Nonostante ciò se nella vita ogni tanto non si ha il coraggio (o l’incoscienza) di fare
delle scelte forti non si potrà mai sapere se la vita ha ancora in serbo delle sorprese positive. Nella mia vita ho fatto almeno una di queste scelte e forse a breve ne farò un’altra, ma sempre con la convinzione che non è fermandosi o lasciandosi trascinare dagli eventi che si potrà migliorare o scoprire cos’altro ci attende. Non essendo poi del tutto fatalista, credo anche che ci voglia anche un certo impegno affinchè qualcosa di buono si avveri, e quindi bisogna trovare sempre il modo di tirar fuori quell’energia che a volte sembra spegnersi.