domenica 31 marzo 2013
giovedì 21 marzo 2013
Venere e Adone, i fiori e la Primavera
Adone, figlio di
Mirra, è un bellissimo giovane di cui Venere si innamora perdutamente e che
insegue e brama, curandosi di null’altro se non di lui. Adone ricambia
tiepidamente le attenzioni della bella dea, dedicandosi invece con maggior
piacere alla caccia. La Dea cerca di dissuaderlo dal dare la caccia ad animali
selvaggi e pericolosi come fiere, cinghiali e leoni, ma nonostante ciò, durante
una battuta di caccia egli viene ferito a morte all’inguine (o al fianco
secondo altre versioni) da un cinghiale selvatico e muore fra le braccia di una
sconvolta e inconsolabile Venere, che non è riuscita a modificare il triste
presagio che la pervadeva . Disperata per la perdita la dea invoca che dal
sangue di Adone si generi un fiore che lo ricordi per sempre e che porterà a
lungo affisso nel suo delicato petto, l’anemone.
Il mito
originario dice che l’attacco del cinghiale sia stato frutto della vendetta di
Ares, l’amante tradito e offeso di Venere.
Ovidio nel Libro Decimo delle ‘Metamorfosi’ giustifica l’innamoramento di Venere come frutto della ferita di una freccia di Cupido, infertale per sbaglio mentre si accostava alla madre per baciarla. L’amore di Venere rappresentato da Ovidio è struggente e protettivo mentre Adone è meramente l’oggetto delle sue attenzioni.
Shakespeare nel poema ‘Venere e Adone’ invece ci da una rappresentazione della passione travolgente e bramosa di Venere verso un Adone indifferente e riluttante alle attenzioni della più bella fra le dee, che quasi infantilmente fa invece prevalere la sua passione per la caccia. La Venere shakespeariana è un’eroina romantica a tutto tondo che soffre per non essere ricambiata e che anela le attenzioni del suo amato con frasi come queste:
Ovidio nel Libro Decimo delle ‘Metamorfosi’ giustifica l’innamoramento di Venere come frutto della ferita di una freccia di Cupido, infertale per sbaglio mentre si accostava alla madre per baciarla. L’amore di Venere rappresentato da Ovidio è struggente e protettivo mentre Adone è meramente l’oggetto delle sue attenzioni.
Shakespeare nel poema ‘Venere e Adone’ invece ci da una rappresentazione della passione travolgente e bramosa di Venere verso un Adone indifferente e riluttante alle attenzioni della più bella fra le dee, che quasi infantilmente fa invece prevalere la sua passione per la caccia. La Venere shakespeariana è un’eroina romantica a tutto tondo che soffre per non essere ricambiata e che anela le attenzioni del suo amato con frasi come queste:
“Duro,
tenace sei, acciaio, pietra,
più che
pietra: la pietra all’acqua cede.
Perché tu,
generato da una donna,
non conosci
l’amore e i suoi tormenti?
Fosse stata,
tua madre, un’insensibile,
sarebbe
morta sola, e tu mai nato…
Che idea ti
fai di me, che mi disprezzi?
Deturpi le
tue labbra, se mi baci?
Parlami, o
dolce; ma sii dolce o taci…”
Shakespeare, dal Poema ‘Venere e
Adone’
Questo mito così magnificamente richiamato da sublimi
poeti viene altrettanto magnificamente rappresentato da geni dell’arte visiva
come Canova, Rubens e Tiziano e il rischio della Sindrome di Stendhal si fa sempre più
serio…
Auguro a tutti una solare Primavera.
sabato 16 marzo 2013
Nomi, significati e riferimenti
Tempo fa ho letto
una critica letteraria molto interessante su ‘Jane Eyre’ di Charlotte Brontë,
in cui veniva spiegata la scelta dei nomi voluti dall’autrice, con particolar
riferimento ai luoghi in cui è ambientato il romanzo, e sul loro significato.
Un esempio per tutti è il significato dell'incrocio di 'Whitcross', il posto sperduto in mezzo alla brughiera
dove Jane, fuggita sconvolta dalla casa di Rochester in cui era governante e su
cui aveva scoperto orrendi segreti, si trova a dover decidere dove proseguire
la sua nuova vita apparentemente senza prospettive di felicità.
Così ho provato a
fare per gioco, ma senza che vi sia dietro nessun studio etimologico serio (è
doveroso anticiparlo), un esercizio di fantasia sui nomi utilizzati da Jane
Austen nei suoi famosi romanzi e devo dire che qualcosina di collegabile ai
caratteri dei personaggi o dei luoghi scelti è venuto fuori.
Partendo dai
principi azzurri di alcuni dei 6 romanzi compiuti e più noti di zia Jane, si
può riscontrare che fin dal cognome che portano, vi siano evidenze di quanto
questi siano prodi cavalieri, pieni di valore ed onore.
Il Mr. Knightley del romanzo ‘Emma’ è
quello che anche linguisticamente rappresenta meglio il cavaliere (‘Knight’) a tutto tondo: prestante, sicuro di sé, protettivo
e con l’esperienza e l’età giusta per avere una positiva influenza sulla
giovane e non sempre assennata Emma. Egli infatti è quanto di meglio la giovane
eroina del romanzo può desiderare per mantenere la promessa fatta a se stessa
di non abbandonare il padre, rimanere padrona di sé e non aggiungersi alla
schiera delle zitelle stagionate.
Un altro
cavaliere romantico che si svela a poco a poco nel bellissimo romanzo ‘Ragione
e Sentimento‘, e di cui già il nome ne avrebbe anticipato le gesta è il Colonnello Brandon. Il sostantivo ‘brand‘
infatti, fra i vari significati ha anche quello di spada, che è quella che il nostro brandisce (appunto…) nel duello contro il mascalzone che ha
disonorato la sua giovane protetta, figlia
presa in custodia del suo perduto primo amore. Brandon è soprattutto
però colui che salva Marianne, che le sta discretamente vicino sempre e senza
riserve, attendendo con pazienza che lei lo riconosca come l’uomo della sua vita
a cui è destinata.
Un altro
personaggio da me molto amato di cui si può dire ‘nomen est omen’, è il bel Capitano
Wentworth, amore mai dimenticato dell’eroina Anne Elliot nel romanzo
‘Persuasione’. ‘Worth’ infatti in
inglese significa degno, di valore,
meritevole: e chi più di Frederick Wentworth rappresenta il coraggio e la
tenacia di aver realizzato la fortuna, navigando per i mari, che gli permetterà
di coronare il suo amore perduto in giovane età?
Prima invece di
passare alle analogie trovate fra le protagoniste o co-protagoniste femminili,
faccio un veloce accenno a un’allusione che mi viene sul cognome di uno dei più
illustri mascalzoni che incontriamo in ‘Orgoglio e Pregiudizio’, Mr. Wickham , che tanto aveva fatto
girare la testa a Lizzie Bennet almeno a prima vista. ‘Wick’ infatti significa lumicino, stoppino e, anche se senza
dubbio è un po’ una forzatura, mi piace azzardare che il suo nome anticipi
quanto poco possa fare egli in termini di ‘luminosità’ di fronte al magnifico
Darcy!
Tra le eroine dei
romanzi austeniani una su tutte ha un nome che la rappresenta appieno: Fanny Price di Mansfield Park. ‘Price’ infatti fra i vari significato ha
quello di valore, prezzo, e chi
conosce il romanzo sa di quanta virtù, umiltà e pazienza è dotata la giovane
protagonista e del prezzo appunto che ha dovuto pagare per anni per coronare
infine il suo amore con l’adorato cugino Edmund. Anche se è un personaggio
minore del romanzo ‘Emma’, trovo che anche Jane
Fairfax, abbia nel cognome dei riferimenti con le caratteristiche di
personalità che la contraddistinguono. L’antagonista di Emma infatti, sebbene
all’inizio venga introdotta da Jane Austen come personaggio dubbio, con dei
segreti sospetti e quindi più negativo che altro, alla fine dimostra e
rappresenta in realtà le tipiche sofferenze della condizione femminile della
middle class del tempo. Jane infatti, combattuta nell’incertezza di poter
sposare il suo Frank Churchill, con cui è segretamente fidanzata da un po’, e
priva di un patrimonio su cui contare, vede con rammarico come unico rimedio
all’indigenza il dover prestare servizio come governante. Nonostante ciò
continua a sperare nel suo giovane amore e a garantirgli fedeltà assoluta e
discrezione per non comprometterlo, proprio come sta ad indicare la prima parte
del suo cognome: ‘Fair’ in inglese significa giusto, leale, discreto.
In altri nomi ho
ritrovato qualche riferimento ai luoghi d’ambientazione degli amati romanzi. Ad
esempio la famiglia Musgrove,
imparentata con gli Elliot di ‘Persuasione’ hanno nel cognome il riferimento ai
boschetti e ai luoghi di campagna in cui vivono (grove = boschetto, frutteto); l’ammiraglio e la moglie Croft, in inglese piccolo
podere, nello stesso romanzo, non potevano avere cognome migliore per
rappresentare la dimensione familiare e semplice in cui vivono e che tanto
ammira Anne; Northanger Abbey o
‘l’Abbazia della Rabbia del Nord’ dell’omonimo romanzo, sembra rappresentare il
pessimo carattere del Generale Tilney, padre tiranno di Henry e Caroline che
alla fine soccomberà ai suoi ambiziosi piani.
E qualcos’altro
si potrebbe dire sui cognomi Dashwood, Woodhouse, Moreland ma è meglio che mi
fermi qui perché, oltre a rendermi conto che forse non era questo l’intento di
Jane Austen nell’utilizzo di tutti i nomi fatti, potrei davvero andare su
interpretazioni sempre più improbabili!
sabato 2 marzo 2013
La pervasività di 'Downtown Abbey'
L’altro giorno,
mentre guidavo andando al lavoro, ho visto per strada una locandina che
pubblicizzava un gruppo musicale di nome ‘Abbey Town Jazz’ o qualcosa di simile,
e mi è venuto da sorridere nel trovarmi a riflettere se quel nome fosse una trovata pubblicitaria in linea con la serie TV più nota del momento o se
fosse una pura coincidenza che mi ha fatto fare l’associazione mentale con la
stessa. Sicuramente in questo periodo sono pervasa da ‘Downtown Abbey’, la
riuscita serie TV anglo-americana prodotta per la ITV inglese e ideata da
Julian Fellowes, le cui due prime serie sono state trasmessa su Rete 4 nel 2011
e 2012, mentre la terza si trova ancora solo in lingua originale. Pervasa per
due motivi principali: il primo è che mi sono vista tutte e tre le serie in
poco meno di una settimana, passata reclusa a casa a causa (o grazie…) a una
poco simpatica influenza; la seconda perché essendomi piaciuta davvero molto
‘Downtown Abbey’ , non riesco a non riguardarmi qua e là qualche puntata,
giusto per essere sicura di non essermi persa niente di fondamentale.
Per chi non
sapesse di cosa sto parlando ‘Downtown Abbey’ racconta le vicende di una nobile
famiglia inglese in difficoltà economiche, in un arco temporale che va dal
naufragio del Titanic (1914) al primo dopoguerra (circa 1920), e degli intrecci
di questa con le vite del personale al loro servizio. Mutamenti storici, sociali,
culturali e anche tecnologici sono il contesto in cui si muovono le storie
personali dei diversi attori che vivono ai piani alti e bassi del bellissimo castello in cui è
ambientata la serie. Penso che questo non sarà l’unico post che dedicherò a ‘Downtown
Abbey’, ma volevo comunque partire da qualche considerazione generale che
riguarda l’intera serie.
Innanzi tutto
quello che mi ha colpita, che credo fosse precisamente l’intento degli autori,
è che non essendoci una o un protagonista che spiccasse particolarmente su
tutti, l’attesa della puntata successiva era diffusa su diverse situazioni,
d’amore, d’intrigo o altro, che poi, a seconda dei gusti dello spettatore, poteva
propendere più su una o l’altra. Nel mio caso specifico la storia d’amore della
cameriera Anna Smith e del valletto Mr. Bathes è una delle preferite, seguita
subito dopo dal tira e molla di Lady Mary e l’ereditiere Matthew Crawley, che
però in qualche passaggio ha lasciato il posto alle cattiverie e agli intrighi
del cameriere Thomas.
La storia di Anna
e Mr Bathes è bella perché lui, (l’attore Brendan Coyle che ho subito riconosciuto
per aver interpretato Higgins di ‘North & South’!), non è bello, ha la sua
età ed è pure invalido ma ha un fascino ed una onestà profonda che trasmettono quella
sicurezza e quel senso di protezione che molte donne vorrebbero avere dal loro
partner. Anna d’altro canto è giovane, molto carina e dolcissima ma tutt’altro
che ingenua, e dimostra una tenacia e fedeltà al suo amore (quando lui finisce in
carcere perché giudicato colpevole dell’omicidio della moglie) davvero rare. Questa
storia d’amore che nasce a poco a poco, che si manifesta attraverso semplici ma
determinanti gesti (quando lei porta a Bathes un vassoio con la cena la sera
prima della sua presunta partenza definitiva da Downtown e quando lui ricambia
portandole a sua volta un vassoio con la cena quando lei è costretta a letto
con l’influenza) è discreta e intensa e non trascura il colpo di scena con l’omicidio/suicidio
della ormai ex moglie di lui. Bellissima poi nella terza serie, secondo me, la
sorpresa che Anna prepara per Bathes durante il soggiorno estivo in Scozia dei Conti
di Grantham a cui parte della servitù, fra i quali i due nostri, fa da seguito.
Anna infatti in preparazione del ‘Gran ballo annuale della servitù’, impara a
ballare un Reel e si esibisce in tutta la sua delicatezza sotto gli occhi
sorpresi ed estasiati di Bathes.
Non entro qui nel
dettaglio della storia d’amore di Lady Mary e Matthew Crawley, ma mi piace
sottolineare che ho apprezzato particolarmente la trasformazione del
personaggio di Matthew che una volta sposata la sua Mary da l’impressione anche
di esercitare un certo dominio sulla moglie, soprattutto quando questa ostenta
la sua innata cattiveria nei confronti della più sfortunata sorella Edith. Questa
accentuazione del carattere di Matthew lo salva a mio avviso dal rischio di diventare
un marito ‘zerbino’, destinato a rimanere nell’ombra della Lady pensata dalla
produzione per essere una delle protagoniste contemporaneamente più odiate e
più amate dal pubblico.
Come poi non
citare il trio più straordinario di distinte ed anziane signore che si siano
mai viste assieme in una serie Tv? Maggie Smith, Penelope Wilton e Shirley McLaine,
solo come attrici sono una garanzia, ma la miscela esplosiva dei battibecchi in
particolare fra Lady Violet (M. Smith) verso le altre due, sarcastici e divertenti ma senza mai scadere nell’eccesso o
nello scontato, credo sia una delle parti più riuscite della serie. Peccato
solo che la Mc Laine, madre di Cora contessa di Grantham e nonna americana di
Mary, Edith e Sybil, faccia solo una comparsata di poche puntate (le prime due
della terza serie), in occasione del matrimonio di Lady Mary e Matthew, perché il
confronto fra lei e la Contessa madre-Maggie Smith, nell’eterno conflitto fra inglesi
e americani è qualcosa di davvero strepitoso.
Molti altri sono i
personaggi belli e caratterizzanti, a cui magari dedicherò altri pensieri più
avanti.
Concludo questo post citando invece qualche passaggio secondo me poco
riuscito se non addirittura inutile, che fortunatamente però si può superare
per diversi motivi, fra cui anche la bellissima location esterna di Highclere
Castle nell’Hampshire e la cura dei particolari di arredamento ma soprattutto
dei costumi e della loro trasformazione fra il pre e dopo guerra (gonne che si
accorciano, capelli che si arricciano etc.).
Tornando ai passaggi mal riusciti, secondo me piuttosto infelice è stato nella
seconda serie il tentativo dell’ ‘..a volte ritornano..’ di Patrick, cugino
ereditiere ed ex promesso sposo di Lady Mary, sfigurato e irriconoscibile a
seguito di ferite subite in guerra. Poi, anche se gli autori lasciano
volutamente il dubbio, sembra che non fosse neanche lui e sparisce nel nulla
dopo due puntate.
Altrettanto infelice a mio avviso la liason
d’amore o, meglio, la fulminea infatuazione del Conte di Grantham per la
cameriera Jane, oltretutto quando la moglie sembrava stesse per morire di
Spagnola. Magari, se avessero inserito questa distrazione del Conte in un altro
momento e l’avessero approfondita, sarebbe stata anche intrigante ma così
proprio non mi ha convinta.
Poco convincente e un pò triste il tentativo di sedurre il marito vedovo della
povera Sybil, Branson, che, nella terza serie, rimasto solo a Downtown per non
aver voluto seguire il resto della famiglia in Scozia, viene ripetutamente
tentato da una bionda e abbastanza insulsa cameriera che voleva a tutti i costi
riportarlo al nucleo originario dei piani di sotto.
Anche la storia fra l’aiutante in cucina Daisy e il cameriere Alfred,
che aveva un certo potenziale all’inizio, grazie anche a Thomas, il cameriere
cattivo, che interferiva solo per gioco, è stata rovinata dalla soluzione del
matrimonio di compiacenza per il moribondo Alfred e dal trascinarsi sterile dei
sensi di colpa di lei dopo la sua morte.
Ma a parte questo
e poco altro, ‘Downtown Abbey’ è uno spettacolo che per chi ama i Period Drama davvero non va perso!
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