giovedì 21 marzo 2013

Venere e Adone, i fiori e la Primavera


In occasione dell’equinozio di Primavera e della bella giornata di sole di oggi, che ha dato l’avvio alla mite stagione di mezzo, vorrei ricordare il mito greco celebrato da due dei più sublimi poeti che ho conosciuto nel corso dei miei studi, Ovidio e Shakespeare: il mito di Adone e Venere.
Adone, figlio di Mirra, è un bellissimo giovane di cui Venere si innamora perdutamente e che insegue e brama, curandosi di null’altro se non di lui. Adone ricambia tiepidamente le attenzioni della bella dea, dedicandosi invece con maggior piacere alla caccia. La Dea cerca di dissuaderlo dal dare la caccia ad animali selvaggi e pericolosi come fiere, cinghiali e leoni, ma nonostante ciò, durante una battuta di caccia egli viene ferito a morte all’inguine (o al fianco secondo altre versioni) da un cinghiale selvatico e muore fra le braccia di una sconvolta e inconsolabile Venere, che non è riuscita a modificare il triste presagio che la pervadeva . Disperata per la perdita la dea invoca che dal sangue di Adone si generi un fiore che lo ricordi per sempre e che porterà a lungo affisso nel suo delicato petto, l’anemone.                                        
Il mito originario dice che l’attacco del cinghiale sia stato frutto della vendetta di Ares, l’amante tradito e offeso di Venere.                                                                                   
Ovidio nel Libro Decimo delle ‘Metamorfosi’ giustifica l’innamoramento di Venere come frutto della ferita di una freccia di Cupido, infertale per sbaglio mentre si accostava alla madre per baciarla. L’amore di Venere rappresentato da Ovidio è struggente e protettivo mentre Adone è meramente l’oggetto delle sue attenzioni.                                  
Shakespeare nel poema ‘Venere e Adone’ invece ci da una rappresentazione della passione travolgente e bramosa di Venere verso un Adone indifferente e riluttante alle attenzioni della più bella fra le dee, che quasi infantilmente fa invece prevalere la sua  passione per la caccia. La Venere shakespeariana è un’eroina romantica a tutto tondo che soffre per non essere ricambiata e che anela le attenzioni del suo amato con frasi come queste:

“Duro, tenace sei, acciaio, pietra,
più che pietra: la pietra all’acqua cede.
Perché tu, generato da una donna,
non conosci l’amore e i suoi tormenti?
Fosse stata, tua madre, un’insensibile,
sarebbe morta sola, e tu mai nato…
Che idea ti fai di me, che mi disprezzi?
Deturpi le tue labbra, se mi baci?
Parlami, o dolce; ma sii dolce o taci…”
                                               Shakespeare, dal Poema ‘Venere e Adone’


Questo mito così magnificamente richiamato da sublimi poeti viene altrettanto magnificamente rappresentato da geni dell’arte visiva come Canova, Rubens e Tiziano e il rischio della Sindrome di Stendhal si fa sempre più serio…






Auguro a tutti una solare Primavera.

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