martedì 30 aprile 2013

Matches & Matrimony: a Pride and Prejudice Tale


Girovagando per la rete ho scoperto di recente questo action-game per appassionate austeniane o Janeites, che in modo molto simile alla filosofia del game-book ‘Lost in Austen’ fa rivivere da protagoniste ambienti e potenziali storie d’amore in perfetto stile Regency! 
3 sono i romanzi di Jane Austen che si intrecciano, ‘Orgoglio e Pregiudizio’ che è anche lo scenario in cui si possono muovere e far agire i personaggi, ‘Persuasione’ e ‘Ragione e Sentimento’. Ovviamente lo scopo è quello di combinare un matrimonio vantaggioso e nove sono i diversi lieti fine (o meno) da scoprire e da poter riadattare ricominciando il gioco a seconda della propria volontà di far emergere felicità, fortuna e altro. Si pianifica la settimana con diverse attività da fare che portano ad incontri diversi e così si determina lo sviluppo della storia attraverso 20 capitoli del rinnovato romanzo.
Non mancano i personaggi inventati o da inventare, compresa la protagonista che può scegliersi nome e professione come ad esempio quello di ‘Elizabeth Orthensia, the Zombie Killer!’
Si possono trovare diversi video su you-tube che esemplificano le scene o i passaggi possibili delle storie da inventare e in alcuni casi la cosa più divertente è il commento che si sente in sottofondo.
Mi è piaciuta in particolare la grafica usata che, anche se statica, ben rappresenta le caratteristiche dei protagonisti più noti. Ecco ad esempio un Darcy accigliato, un Bingley sognatore o una dolce Jane.
 

E ancora, con qualche variazione sul tema, un Wickeby affascinante ma mascalzone e un sempre repellente Mr Collins.


Inutile dire che questo simpatico gioco ha il copy right della Reflexive ® Entertainment ed è a pagamento. Altre info si possono trovare sul sito www.matchesandmatrimony.com

Riuscirà  Elizabeth a conquistare il suo Darcy?...Mah, secondo me comunque anche se vira verso il bel Wentworth fa comunque un bell’affare!

domenica 28 aprile 2013

'Wunthering Heights' di Andrea Arnold ed Emily Brontë


Nel 2011 Andrea Arnold ha provato a reinterpretare uno dei romanzi più discussi della metà dell’Ottocento, opera prima e unica di Emily, poetessa e sorella più ‘selvaggia’ delle tre famose Brontë. ‘Wunthering Heights’ (pubblicato nel 1847) è stato infatti dapprima censurato e demolito dalla critica, e poi più tardi riscoperto e considerato una delle opere più crudelmente romantiche del periodo vittoriano. Diverse sono le rappresentazioni, film o serie TV, ad esso dedicate fra cui la mia preferita di sempre resta quella del 1992 con Ralph Fiennes e Juliette Binosche. Finchè appunto, nel 2011, sul filone di questi ultimi anni di rimettere in scena grandi classici in costume (come ad esempio Jane Eyre del 2011 o Anna Karenina del 2012), la regista alternativa Andrea Arnold dirige un ‘Wunthering Heights’ che riscuote poco successo di pubblico ma che forse per certi versi risulta fra i più fedeli allo spirito ‘selvaggio’ dell’autrice.

Vorrei partire però dagli elementi di rottura che la regista introduce per dare un’originalità tutta sua al film rispetto al romanzo.
Innanzi tutto viene sviluppata solo la prima parte del romanzo, quella del tragico amore tra Heathcliff e Catherine, e in particolare nella fase adolescenziale, mentre si intravedono appena i discendenti bambini che saranno protagonisti successivamente di un epilogo più positivo dei loro intrecci amorosi. La scelta di un Heathcliff di colore è l’altro elemento di novità, che mira ad enfatizzare l’atteggiamento razzista del fratello di Catherine prima e della famiglia Linton poi, rispetto a quello originale che si intuisce abbia origini zingare più che africane. La casa degli Hearnshaw poi è una misera fattoria di legno e non una struttura in pietra del ‘500 che, nelle fantasie di chi legge il romanzo, dà più la sensazione di una magione gotica decaduta e infestata dai fantasmi. C’è poi la scelta visiva del rapporto della scena, 1,33:1, ovvero, per i non tecnici, l’immagine risulta come tagliata ai lati per dare una prospettiva diversa e ci sono anche passaggi volutamente traballanti realizzati da riprese fatte a mano come ad inseguire i protagonisti.
Ma mentre si osservano queste particolarità, per me che amo questo romanzo quasi con un sentimento di fastidio e che ho letto la biografia di Charlotte Brontë scritta da Elizabeth Gaskell, dove ovviamente si parla di tutti i componenti della famiglia, ho trovato molte analogie con quello che credo di aver inteso sia stato lo spirito più profondo di Emily, o almeno quello che ci è stato tramandato.
Dalle lettere della sorella Charlotte e dalle descrizioni raccolte dai conoscenti dalla Gaskell, Emily, la penultima sorella in ordine di età (o la seconda delle tre più famose) risulta una ragazza ruvida, forte fisicamente e caratterialmente, molto introversa e di poche parole che ama passare molto tempo in solitudine a passeggiare nella selvaggia brughiera dello Yorkshire dove è cresciuta; rifugge infatti qualsiasi tipo di contatto con gente che non fossero i componenti stretti della sua famiglia. La sua vita, come quella di tutti gli altri suoi fratelli e sorelle, risulta caratterizzata dall’assenza della madre che dopo i numerosi parti (6 in tutto) si ammala gravemente per lasciare alle cure delle balie i bambini fino alla sua morte. Il padre, un Clergymen del nord, forte, testardo e con l’animo impetuoso, fornisce ai figli la possibilità di godere di un acculturamento non comune per quei tempi e luoghi, ma la dimensione affettiva quei fratelli la devono trovare fra di loro, coltivando, in particolare le 3 sorelle rimaste in vita, un’interdipendenza così forte da sembrare componenti diverse di un unico corpo.
Due sono gli aneddoti più o meno famosi che in particolare descrivono la peculiarità della personalità tanto rocciosa quanto sensibile di Emily: il primo quello dell’ ‘addomesticamento’ del suo cane, un bulldog tanto feroce con le persone in genere  quanto mansueto con la sua padrona, che per insegnargli a non soggiornare nella di lei camera da letto, lo convince a suon di pugni nel muso! L’altra, più nota, la tenacia con cui affronta la morte: malata di tubercolosi, rifiuta medico e qualsiasi tipo di medicina e continua moribonda a condurre la quotidianità dei suoi gesti domestici senza fiato e forze sotto lo sguardo disperato della sorella e del padre. Solo quando sente arrivare la fine e nell’ultimo giorno della sua vita di trentenne, Emily accetta di farsi vedere dal medico consegnandosi ‘fisicamente’ all’uomo ma consapevole che il suo spirito ormai è altrove.

Tornando dunque al film della Arnold, trovo analogie nell’insistenza quasi ossessiva delle immagini della brughiera selvatica dell’Inghilterra del nord battuta dal vento, dove tutto si svolge: l’incontro tra i giovani Heathcliff e Catherine, lo sviluppo della loro intesa che poi diventa amore possessivo e poi anche l’odio quando Catherine decide di guardare altrove, frequentando il giovane Linton. L’incontro in età adulta dopo la lunga separazione dei due innamorati e la vendetta di Heathcliff che sembra non perdonare chi l’ha fatto soffrire così tanto: i Linton, il fratellastro e Catherine stessa. Tutto è pura natura, pochissimi i dialoghi veri e propri e accentuati invece i rumori della pioggia, del vento, degli animali o dei respiri delle persone.
Pensando allo stile di vita più congeniale ad Emily, caratterizzato da solitudine e contatto con la natura, la Arnold sembra rispecchiare davvero l’ambiente in cui ha preso forma il romanzo.
 La crudezza di certe scene poi, come le botte prese da Heathcliff, le scarse condizioni igieniche in cui vivono i protagonisti contornati da fango e pioggia ovunque, il maltrattamento degli animali, come ad esempio dei cuccioli di cane appesi per il collare per puro sadismo, descrivono una dimensione che secondo me per noi oggi è esasperata ma che probabilmente per quei tempi e in quelle zone era quasi normale.

Infine l’inevitabilità della morte e il modo in cui viene subita, eccezion fatta per Heathcliff quando muore la sua Catherine, che è parte costante della quotidianità, quasi sottofondo da accettare di per sé. Nella biografia della Gaskell emerge costantemente questa inevitabilità nella famiglia Brontë che vede sterminati uno a uno madre e tutti i 6 figli in poco più di un ventennio a causa di diffuse edipemie o stili di vita eccessivi come nel caso dell’unico fratello Patrick.
Concludo quindi dicendo che il film della Arnold, che poco enfatizza la dimensione romantica di questo famoso quanto folle amore, mi ha colpito per aver messo in luce quella che secondo me è la rappresentazione più realistica dell’ambiente in cui Emily è cresciuta e in cui ha voluto ambientare il suo unico e disperato romanzo.

martedì 2 aprile 2013

Keyra Knightley, si ama o si odia?


Molti dicono che il sentimento che genera l’attrice Keira Knightley, inglese ventottenne,  solitamente non ha vie di mezzo, o la si ama o la si odia; in altre parole o piace o no il suo modo di recitare, di proporsi e di atteggiarsi. Di sicuro è difficile non riconoscerla, vista la notorietà che ha riscosso nel bene e nel male, e di solito, se nei titoli di un film esce il suo nome, l’attenzione,  e l’attesa  ancor di più,  sono piuttosto alti.
La prima volta che l’ho notata è stato nel film ‘Pirati dei Carabi-La maledizione della prima luna’, dove un camaleontico Johnny Deep la faceva da padrona e un Orlando Bloom, che ancora non aveva del tutto svestito i panni del Tolkiniano Legolas, si faceva ancora notare (ma dove sarà finito ora?). Ricordo bene il pensiero fatto, perché mi è sembrata molto bella, giovane e sportiva al punto giusto, vivace ed espressiva..Insomma, in quel caso, la giusta eroina del film più riuscito (o forse l’unico) a mio parere della trilogia. Così da lì in avanti l’ho incontrata più volte soprattutto in diversi film in costume di cui sono appassionata. Tralascio infatti i lavori fatti precedentemente a questo film, perché per cose come ad esempio ‘Sognando Beckham’ ho davvero poche parole da spendere in tutti i sensi…
Non ho ancora detto se mi piace o meno perché in effetti mi trovo ad oscillare fra ‘l’amore e l’odio’ pur riconoscendone un certo talento e un generale understatement nella vita privata, che apprezzo molto.
I film dove l’ho trovata molto convincente, brava e ben calata nella parte sono i seguenti in ordine più o meno cronologico:

- ‘King Arthur’, di A. Fuqua del 2004, dove interpreta una Ginevra selvaggia, mascolina e guerriera che ben affianca un Artù-Clive Owen finalmente protagonista e non messo in secondo piano dal solito Lancillotto, qui interpretato da Ioan Gruffudd;
- ‘Orgoglio e pregiudizio’ di J. Wright del 2005 dove interpreta una perfetta Elisabeth Bennet che, secondo me, se Jane Austen avesse potuto vedere interpretare, avrebbe certamente riconosciuto come la Lizzie ‘così come me l’ero immaginata’ . Non è bellissima perché se di bellezza in termini classici vogliamo parlare, il paragone con l’attrice Rosamund Pike, che interpreta sua sorella Jane nel film, non regge di certo. Ma lo sguardo, la vivacità e quel po’ di sfrontatezza calibrata in modo giusto, le garantisce davvero il merito della candidatura all’Oscar che poi però non ha ottenuto.
- salto ‘I pirati dei Carabi - I, II e III’ perché già citati sopra ma dei quali ho apprezzato solo il primo, sia come film che come interpretazione della Knightley;
- ‘Espiazione’ di J. Wright del 2007 dove interpreta la sorella maggiore della protagonista (Saoirse Ronan) che vedrà distrutta la propria storia d’amore con un davvero bravo James McAvoy, proprio a causa della gelosia ed eccessiva fantasia adolescenziale della sorellina. Qui mi è piaciuta perché le parti dell’altezzosa ed antipaticuccia le riescono molto bene;
- ‘La Duchessa’ di Saul Dibb del 2008, dove interpreta Georgiana Spencer, antenata di Lady D, costretta ad un matrimonio tanto combinato quanto drammatico con lo stagionato Duca di Cavendish, interpretato da un glaciale Ralph Fiennes che, nonostante conviva con moglie e amante, costringe Georgiana a scegliere fra il di lei amante o i figli. Due scene secondo me davvero da ricordare: quella dove si ubriaca a un ricevimento per affogare il dolore delle sue vicende personali e si incendia inavvertitamente la parrucca; e quella dove è costretta a lasciare la figlia illegittima, appena partorita, alla famiglia del suo amante per rivederla solo di rado e di nascosto.

- ‘Non lasciarmi’ di Mark Romanek del 2010, dove interpreta Ruth la terza incomoda nel triangolo amoroso di tre giovani costretti in un college-incubatore di cloni di esseri umani destinati a diventare ‘donatori’ di organi su necessità. Sarà che anche qui fa molto bene l’antipatica che alla fine si ravvede, sarà che la trama di questo film è abbastanza agghiacciante, ma anche se non è protagonista la Knightley mi è piaciuta molto;
- ‘Last Night’ di M. Tadjedin del 2010 dove interpreta la parte femminile di una coppia che in una sola notte riesce a tradirsi vicendevolmente, con la differenza che la moglie (Keira) lo fa più di testa che di fatto con un suo ex, e il marito (Sam Worthington) lo fa –ovviamente!- fisicamente con una collega e poi sparisce.. Il film non ha ricevuto una buona critica a differenza dei su citati, ma a me è piaciuta molto soprattutto la chimica che traspariva fra la Knightley e Guillaume Canet ..d’altronde anche comprensibile con uno così!
I film invece dove Keira Knightley non mi è piaciuta affatto o non mi ha convinta del tutto sono i seguenti:
- so che ha partecipato anche a ‘The Hole’ del 2001, che non ho visto perché non è il mio genere, e non saprei quindi
dire se è stata brava ad interpretarlo, ma lo segnalo comunque qui..;
- continuo a non citare ‘Sognando Beckham’ del 2002 di G. Chadha anche se in questo modo l’ho già fatto due volte e non positivamente!
- ‘Love actually’ di Curtis del 2003 l’ho visto e ricordo che era a episodi intrecciati e che l’unico attore che mi è rimasto impresso è Hugh Grant e poi non ricordo altro. Per cui sicuramente non mi è piaciuta come interprete perché altrimenti qualcosina mi sarebbe rimasto impresso della sua parte, o no?
- ‘Seta’ di F. Girard del 2007: capisco che la trasposizione in film di un libro non è mai fedele né semplice, ma tanto è surreale, misterioso e sensuale il libro di Baricco, quanto insipido mi è sembrato questo film che avrebbe avuto un certo potenziale visti gli attori (la Knightley appunto e Michael Pitt), ma mi permetto di dire che anche loro sono stati più insipidi che mai;
- ‘London Boulevard’ del 2010 di K. Monahan, dove interpreta una sfuggente attrice bisognosa della protezione di un super macho Colin Farrel; non metto il pollice verso del tutto sull’interpretazione della Knightley ma secondo me mancava qualcosa per renderla un po’ più emozionante;
- ‘A dangerous Method’ di niente meno che Cronemberg del 2011, dove Keira interpreta Sabina Spielrein la paziente schizofrenica di Jung/Fassbender,  poi divenutane anche amante in un classico contro-transfer, il quale sperimenta su di lei la terapia psicoanalitica teorizzata e applicata da Freud/Viggo Mortensen. Non solo Keira mi ha fatto impressione per l’interpretazione, e non certo in senso positivo, ma non sono neanche riuscita a vedere tutto questo noiosissimo e mal combinato film (naturalmente è il mio personalissimo parere). Se Keira ha un difetto fisico evidente è quello della mascella sporgente o prominente o importante che dir si voglia, e diciamo che in questo film l’ha davvero messa tutta in evidenza in modo raccapricciante!
- ‘Anna Karenina’ di J. Wright del 2012, controvoglia lo colloco qui, ma non per il film in sé che mi è piaciuto moltissimo, ma per l’interpretazione di una Karenina da parte della Knightley che non mi ha convinta del tutto, come ho scritto in un mio post precedente a questo film dedicato.

Altri film interpretati dalla Knightley non li ho visti e quindi non li cito .
In conclusione il bilancio è di 7 interpretazioni ok contro 7 ko (6 in realtà, visto che the Hole l’ho aggiunto per il genere e basta), sufficiente per confermare ancora una volta che non so decidere se amare o odiare la comunque talentuosa attrice Keira Knightley.