domenica 20 ottobre 2013

Judi Dench, quando il talento sospende il tempo


La prima volta che sono rimasta colpita da questa straordinaria attrice inglese è stata quando impersonava una terribilis Lady Catherine De Bourgh in ‘Orgoglio e Pregiudizio’ di Joe Wright del 2005.
La scena notturna in particolare, quando la Lady si reca in visita a casa di Elizabeth per intimarle di mettere fine alle presunte voci che vedevano quest’ultima coinvolta in una liason con suo nipote Fitzwilliam Darcy - perché lui era già predestinato come marito di sua figlia da quando erano entrambi nella culla – mostra davvero la bravura di quella che può essere considerata una stella del cinema eclettica e senza tempo. In barba infatti a chi si gonfia di botulino o acidi di vario tipo, questa splendida signora di 79 anni mostra tutti i segni del tempo con orgoglio e grande fascino, e in qualche modo mi ricorda la nostra Virna Lisi per classe, bravura  e inossidabilità. Inutile dire che in tutti i film dove poi l’ho incontrata di nuovo o su cui ho fatto mente locale di averla già vista, è stato un piacere osservarne le caratteristiche, la capacità di interpretazione, l’abilità di passare da un personaggio umanissimo e fragile come quello di Matilda Jenkyns nella serie TV della BBC del 2007 ‘Cranford’, a uno duro e spietato come quello di M, in ben 3 capitoli di James Bond. Si dice di lei infatti che in ‘Skyfall’ del 2012 ha letteralmente tolto la scena ad un attore di pregio come Daniel Craigh. Non ho visto film in cui recitava da giovane ma di sicuro ne ho visti molti di quelli in costume che amo particolarmente. In ‘Camera con vista’ del 1985, tratto dal romanzo di Forster, era una benestante signora inglese in vacanza in Italia, testimone dei tormenti amorosi della giovane protagonista Lucy; le faceva compagnia una singolare e bravissima Maggie Smith (la prof Mac Grannit di Harry Potter ). In ‘Mrs Brown’ di John Madden del 1997, Judi Dench interpreta in modo molto convincente la Regina Vittoria quando, ritiratasi dopo la morte del marito nella residenza  reale di campagna, rifiuta ogni
contatto con l’esterno e lascia al primo ministro la cura degli affari politici del paese. Solo la vicinanza del determinato e devoto John Brown, per cui in gioventù Vittoria aveva provato una forte passione, riporta la Regina all’interesse per il mondo e per il suo ruolo, fino alla decisione di tornare a Londra. Brown in questo film viene presentato come un secondo marito per la Regina e così come la maturità e il peso dell’esperienza traspare dall’interpretazione dei personaggi, non viene meno anche la delicatezza del sentimento dei due protagonisti che si affidano l’uno all’altra legati da una sorta di eterna promessa. Per questa interpretazione Judi Dench ha vinto un Golden Globe e per quella di soli 8 minuti nei panni della Regina Elisabetta in ‘Shakespeare in love’ del 1998 dello stesso regista ha vinto l’Oscar. Nel 2011 l’ho ritrovata con grande piacere in ‘Jane Eyre’ di Fukunaga, dove, vestendo i panni della vecchia e un po’ svampita governante di Rochester, Mrs. Fairfax, accoglie con fare materno e sincero la giovane Jane Eyre che si innamorerà perdutamente del padrone di casa determinando poi con il suo comportamento fiero e libero un drastico cambiamento nelle vicende di Thornefield Hall. La Dench


per me risulta intensa e convincente fino in fondo anche in questo ruolo, come in molti altri che non vado qui a citare. Faccio un’eccezione però per il  film ‘Marilyn’ del 2011 con una bravissima e molto somigliante Michelle Williams nei panni della mitica attrice degli anni ’50 e con Kenneth Branagh nei panni di un insofferente e stagionato Laurence Olivier. Qui la Dench interpreta Sybil Thorndike, un’attrice co-protagoinista dei due attori di cui sopra che durante le riprese de ‘Il principe e la ballerina’ è l’unica che, dall’alto della sua esperienza, vede, comprende e accetta per quelle che sono le debolezze e fragilità della Monroe  e che senza giudicarla la sostiene e la consiglia su come affrontare con il suo inconsueto talento le riprese del film partite con i peggiori auspici. Alla soglia degli 80 anni questa splendida donna, nata per recitare con maestria soprattutto i ruoli drammatici, e che nel tempo si è fatta apprezzare a

sempre più alti livelli, è diventata un volto che garantisce la riuscita anche di quelli che sembrano (o sono) film con medio potenziale, come ad esempio quello girato con la sua amica di lunga data Maggie Smith intitolato ‘Ladies in Lavender’  di Charles Dance del 2004, un film senza tempo, da vedere. Concludo affermando che la Dench è un’attrice britannica di prima scelta capace di illuminare e dominare lo schermo con espressioni intense ed uniche come solo l’esperienza e il talento possono fare.


sabato 12 ottobre 2013

Ho letto ‘Una carrozza per Winchester , l’ultimo amore di Jane Austen’ di Giovanna Zucca e ho trovato che…



Non sono in grado di fare una recensione vera e propria di un libro, non l’ho mai fatto e non intendo iniziare ora, ma trovo interessante invece fare e possibilmente condividere qualche riflessione su alcuni libri che leggo.
Proprio oggi ho completato il nuovo romanzo di Giovanna Zucca ‘Una carrozza per Winchester, l’ultimo amore di Jane Austen’ - 2013 Fazi Editore- che mi sono velocemente procurata grazie alle segnalazioni dei blog dedicati all’amata autrice citata nel titolo. In quanto romanzo è chiaro fin da subito che, pur attenendosi ad alcuni fatti e all’epilogo della singolare quanto straordinaria vita di una delle più grandi scrittrici inglesi dell’ 800, l’autrice si è immaginata gli ultimi mesi di vita di Jane Austen concedendole la possibilità di godere, seppur per poco e in modo non convenzionale, di un amore vero, profondo che le ha coinvolto per la prima volta contemporaneamente i sensi, la mente e il cuore. In realtà fra la Austen e il suo presunto ultimo amore, il dottore Thomas Addison, realmente esistito e a cui si attribuisce la scoperta del probabile morbo da cui ella era affetta e che l’ha portata alla morte, vi era uno scarto temporale di circa 30 anni. Nonostante ciò il modo in cui Giovanna Zucca è riuscita a riconciliare lo spazio temporale e a narrare gli ultimi mesi di vita della nostra eroina è davvero credibile ed avvincente. Mi è piaciuto molto come l’autrice sia riuscita a tenere compresenti il piano clinico da una parte, opportunamente descritto immagino grazie alla professione di strumentista e aiuto-anestesista che svolge nella quotidianità, e il piano filosofico che ha accompagnato in particolare i discorsi e le riflessioni di Jane Austen e il suo dottore (la Zucca ha una laurea in filosofia). Perché la filosofia è scienza, è la scienza del tutto perché si pone le domande per raggiungere la conoscenza della realtà delle cose. Così ho trovato
molto bello il dialogo fra i due protagonisti sull’atemporalità e l’eterna attualità delle opere della Austen, così come il senso di immortalità che può donare l’amore vero, quello che accetta l’altro per come è e che lo assurge ad unico vero mezzo per vivere in eterno, o tramite i figli con lui generati o tramite egli stesso nel caso sopravviva all’altro. Ho avuto la sensazione poi, ma forse erronea, che l’autrice volesse dare un  differente peso all’amore giovanile e all’amore tardivo che, sebbene abbiano di necessità connotazioni diverse e spesso un coinvolgimento diverso in termini intellettivi ed intellettuali, a mio avviso determinano comunque in entrambi i casi un coinvolgimento e una sofferenza in positivo o in negativo eccezionali e totalizzanti. Ho trovato molto pregnante l’aspetto psicologico emerso nella rappresentazione dei ‘parti’ letterari della Austen, estremizzato fino al punto da descrivere il rituale del passaggio del ‘neonato’ dalle braccia della madre a quelle del fratello e poi dalla descrizione del commiato sancito dalla frase ‘Vai per il mondo, mio bambino, e non tornare più’. Eccessivo?
Non credo, chi dedica energie, passione se non la vita intera ad uno scopo importante e per lui superiore, quando lo raggiunge è come generare, nel vero senso della parola. Il modo in cui all’inizio di ogni capitolo (o gruppi di capitoli) sia stato riportato un passaggio di uno dei romanzi della Austen, mi ha dato la sensazione che non fosse casuale ma che riportasse in qualche modo al contenuto dello stesso capitolo: ‘l’Abbazia di Northanger’ quasi a sottolineare l’ingenuità delle giovani ragazze, Angelica e Jane Mary, che hanno inconsapevolmente fatto generare l’amore fra il dottore e l’ammirata autrice; ‘Ragione e sentimento’ dove si descrivono le dinamiche familiari di Jane e sua sorella Cassandra e i rapporti con i vicini di casa; o infine ‘Persuasione’ nel capitolo dove Jane finalmente corona il suo sogno d’amore in età tardiva.  La forma utilizzata negli scambi epistolari in particolare mi è sembrata un po’ forzata, soprattutto all’inizio quando Jane Mary chiede al padre, grande luminare, di intervenire con un consulto in merito alla malattia di Jane Austen. In generale però mi è piaciuto lo stile utilizzato perché è riuscito a mantenere il riferimento al periodo storico d’ambientazione e a dare il giusto spessore drammatico ad alcuni passaggi del romanzo. Al termine del libro si ha la sensazione che le cose possano essere davvero andate così, ovvero che sebbene l’inesorabile procedere della malattia abbia impedito a Jane Austen di andare oltre i suoi 42 anni, questa straordinaria donna sia riuscita ad esaudire quel desiderio di amore vero e corrisposto che pur descritto in tutte le sue grandi opere non era mai riuscita a trovare nella realtà. Insomma è un libro che consiglierei davvero di leggere e non solo alle appassionate della scrittrice inglese, ma a chi crede che l’amore possa dare una possibilità a tutti anche nei momenti più impensabili.

domenica 6 ottobre 2013

Mr Darcy, i cupcakes e le scelte della vita



Quest’estate fra le letture che sono riuscita a fare c’è stata quella di un romanzo che avevo scelto sia perché non sembrava troppo impegnativo sia perché aveva un riferimento ai carissimi romanzi di zia Jane, ‘Un cupcake con Mr Darcy’ di Giovanna Fletcher.
Ad essere sincera non avevo grandi aspettative, ma ho dovuto presto ricredermi. – Attenzione Spoiler - Il romanzo si svolge ai giorni nostri e parla di una ragazza inglese quasi trentenne, Sophie, che lavora in una tearoom di un paesino della campagna inglese. Grazie a questo lavoro che adora e a Molly, la titolare del negozio nonché sua migliore amica nonostante la differenza di età, Sophie è riuscita a trovare quell’equilibrio che le permette di non far riaffiorare la tragedia della morte del padre avvenuta quando era una ragazzina egocentrica e viziata. A seguito del fatto che la produzione che aveva deciso di girare una serie TV sul più famoso romanzo di Jane Austem ‘Orgoglio e Pregiudizio’, stava girando alcune scene proprio in quel paesino inglese, Sophie conosce casualmente Billy, uno degli attori più affascinanti e conosciuti del momento e fra i due scoppia una storia d’amore travolgente. Billy non poteva che interpretare la parte di Mr Darcy e, nonostante i gossip che lo rappresentavano come uno sciupafemmine, in realtà si rivela un bravo ragazzo molto legato alla famiglia e dai sani principi. Sophie decide d’un tratto di cambiare tutto nella sua vita: va a vivere a Londra a casa di Billy, lascia il lavoro tanto amato, frequenta gli ambienti del cinema, sfila sul red carpet e partecipa a party dove incontra niente meno che Jude Law. Ma ben presto si ritrova più sola che mai nonostante sia con l’uomo che ama: è lontana dalla madre e dalla sua cara amica, dalle sicurezze che si era creata nel tempo e tutte le sue fragilità e sensi di colpa riaffiorano.
Così, anche a seguito della gelosia insinuata da malelingue invidiose, Sophie decide di lasciare Billy e di tornare a casa dopo un rocambolesco pedinamento dei paparazzi che svelano la tragedia della morte accidentale del padre. A peggiorare il tutto si aggiunge la notizia che alla sua cara amica Molly restano pochi giorni di vita a causa di un cattivo male e riesce a stento a darle l’ultimo saluto. Ma a volte le svolte, i grandi cambiamenti possono aprire anche delle porte inaspettate ed ecco che Molly le lascia in eredità  la tearoom, che Billy sceglie di starle accanto scendendo a compromessi con il suo lavoro di attore e Sophie dunque non solo ritrova una nuova sé più matura ed equilibrata ma anche realizzata negli affetti e nel lavoro.
Il libro è delicato, non volgare e non trascende nel patetico, nonostante le tragedie di cui narra, e in una lettura semplice e fluida dà risalto a due stili di vita completamente opposti, quello patinato delle star e quello quotidiano di un paesino di provincia con i suoi rituali. Quello che mi è particolarmente piaciuto di questo libro è che sottolinea che a volte prendere delle decisioni di ‘rottura’ può essere faticoso e inizialmente può anche non essere sempre positivo. Nonostante ciò se nella vita ogni tanto non si ha il coraggio (o l’incoscienza) di fare
delle scelte forti non si potrà mai sapere se la vita ha ancora in serbo delle sorprese positive. Nella mia vita ho fatto almeno una di queste scelte e forse a breve ne farò un’altra, ma sempre con la convinzione che non è fermandosi o lasciandosi trascinare dagli eventi che si potrà migliorare o scoprire cos’altro ci attende. Non essendo poi del tutto fatalista, credo anche che ci voglia anche un certo impegno affinchè qualcosa di buono si avveri, e quindi bisogna trovare sempre il modo di tirar fuori quell’energia che a volte sembra spegnersi.