Non sono in grado
di fare una recensione vera e propria di un libro, non l’ho mai fatto e non
intendo iniziare ora, ma trovo interessante invece fare e possibilmente
condividere qualche riflessione su alcuni libri che leggo.
Proprio oggi ho
completato il nuovo romanzo di Giovanna Zucca ‘Una carrozza per Winchester, l’ultimo
amore di Jane Austen’ - 2013 Fazi Editore- che mi sono velocemente procurata
grazie alle segnalazioni dei blog dedicati all’amata autrice citata nel titolo.
In quanto romanzo è chiaro fin da subito che, pur attenendosi ad alcuni fatti e
all’epilogo della singolare quanto straordinaria vita di una delle più grandi
scrittrici inglesi dell’ 800, l’autrice si è immaginata gli ultimi mesi di vita
di Jane Austen concedendole la possibilità di godere, seppur per poco e in modo
non convenzionale, di un amore vero, profondo che le ha coinvolto per la prima
volta contemporaneamente i sensi, la mente e il cuore. In realtà fra la Austen
e il suo presunto ultimo amore, il dottore Thomas Addison, realmente esistito e
a cui si attribuisce la scoperta del probabile morbo da cui ella era affetta e
che l’ha portata alla morte, vi era uno scarto temporale di circa 30 anni.
Nonostante ciò il modo in cui Giovanna Zucca è riuscita a riconciliare lo spazio
temporale e a narrare gli ultimi mesi di vita della nostra eroina è davvero
credibile ed avvincente. Mi è piaciuto molto come l’autrice sia riuscita a
tenere compresenti il piano clinico da una parte, opportunamente descritto
immagino grazie alla professione di strumentista e aiuto-anestesista che svolge
nella quotidianità, e il piano filosofico che ha accompagnato in particolare i
discorsi e le riflessioni di Jane Austen e il suo dottore (la Zucca ha una
laurea in filosofia). Perché la filosofia è scienza, è la scienza del tutto
perché si pone le domande per raggiungere la conoscenza della realtà delle
cose. Così ho trovato
molto bello il dialogo fra i due protagonisti
sull’atemporalità e l’eterna attualità delle opere della Austen, così come il
senso di immortalità che può donare l’amore vero, quello che accetta l’altro
per come è e che lo assurge ad unico vero mezzo per vivere in eterno, o tramite
i figli con lui generati o tramite egli stesso nel caso sopravviva all’altro. Ho
avuto la sensazione poi, ma forse erronea, che l’autrice volesse dare un differente peso all’amore giovanile e
all’amore tardivo che, sebbene abbiano di necessità connotazioni diverse e
spesso un coinvolgimento diverso in termini intellettivi ed intellettuali, a
mio avviso determinano comunque in entrambi i casi un coinvolgimento e una
sofferenza in positivo o in negativo eccezionali e totalizzanti. Ho trovato
molto pregnante l’aspetto psicologico emerso nella rappresentazione dei ‘parti’
letterari della Austen, estremizzato fino al punto da descrivere il rituale del
passaggio del ‘neonato’ dalle braccia della madre a quelle del fratello e poi
dalla descrizione del commiato sancito dalla frase ‘Vai per il mondo, mio
bambino, e non tornare più’. Eccessivo?
Non credo, chi dedica energie, passione
se non la vita intera ad uno scopo importante e per lui superiore, quando lo
raggiunge è come generare, nel vero senso della parola. Il modo in cui all’inizio
di ogni capitolo (o gruppi di capitoli) sia stato riportato un passaggio di uno
dei romanzi della Austen, mi ha dato la sensazione che non fosse casuale ma che
riportasse in qualche modo al contenuto dello stesso capitolo: ‘l’Abbazia di
Northanger’ quasi a sottolineare l’ingenuità delle giovani ragazze, Angelica e
Jane Mary, che hanno inconsapevolmente fatto generare l’amore fra il dottore e
l’ammirata autrice; ‘Ragione e sentimento’ dove si descrivono le dinamiche
familiari di Jane e sua sorella Cassandra e i rapporti con i vicini di casa; o
infine ‘Persuasione’ nel capitolo dove Jane finalmente corona il suo sogno
d’amore in età tardiva. La forma
utilizzata negli scambi epistolari in particolare mi è sembrata un po’ forzata,
soprattutto all’inizio quando Jane Mary chiede al padre, grande luminare, di
intervenire con un consulto in merito alla malattia di Jane Austen. In generale
però mi è piaciuto lo stile utilizzato perché è riuscito a mantenere il
riferimento al periodo storico d’ambientazione e a dare il giusto spessore
drammatico ad alcuni passaggi del romanzo. Al termine del libro si ha la
sensazione che le cose possano essere davvero andate così, ovvero che sebbene
l’inesorabile procedere della malattia abbia impedito a Jane Austen di andare
oltre i suoi 42 anni, questa straordinaria donna sia riuscita ad esaudire quel
desiderio di amore vero e corrisposto che pur descritto in tutte le sue grandi
opere non era mai riuscita a trovare nella realtà. Insomma è un libro che
consiglierei davvero di leggere e non solo alle appassionate della scrittrice
inglese, ma a chi crede che l’amore possa dare una possibilità a tutti anche nei
momenti più impensabili.
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