domenica 10 novembre 2013

'Un incantevole Aprile': come le scelte di rottura determinano svolte importanti



Quattro donne, con motivazioni diverse, fanno la stessa scelta di rottura, un viaggio lontano da tutto e tutti, e questa scelta le porterà ad una svolta decisiva della propria vita: questa è la super sintesi di un bel romanzo di Elizabeth Von Arnim intitolato ‘Un incantevole Aprile’. In tre giorni della scorsa settimana ho finalmente visto
il film di Mike Newell (del 1992), registrato diversi mesi fa ma a cui non ero ancora riuscita a dedicarmi, e letto il libro, pubblicato per la prima volta nel 1922. Le protagoniste sono delle signore inglesi degli anni ’20 di diverse età, chi nobile o della upper class e chi della media borghesia, ognuna rinchiusa nella sua quotidianità o per meglio dire nella sua ‘gabbia’ che nel tempo le ha o annullate alla vista degli altri, o congelate in uno stereotipo in cui loro stesse non riescono più a riconoscersi. Così Mrs. Wilkins, la prima a cui viene l’idea, piuttosto anticonformista per quei tempi, di andarsene per un po’ in viaggio senza marito, è una donna ‘soprammobile’, quasi un oggetto, non troppo prezioso, da esibire ogni tanto in pubblico per completare lo status di uomo d’affari perfetto dello stimato marito, belloccio e competente. Mrs. Arbuthnot, donna sola, pia e religiosissima dentro e fuori - tutti infatti dicono di lei che ha i tratti di una madonna triste - indossa questa maschera per sfuggire da un lato alla vergogna di un marito che per vivere fa lo scrittore di romanzi erotici e, dall’altro, per soffocare il desiderio verso lo stesso che non la degna di uno sguardo e che conduce la sua allegra vita sociale senza scrupoli. Mrs. Fisher, l’anziana signora con l’inseparabile bastone, che vive nei ricordi di un passato che non c’è più, che la sostiene però a sua volta come una struttura da cui teme di separarsi. Nomi altisonanti infatti compongono le travi di questa struttura, Carlyle, Tennyson, ma è una struttura fatta di relazioni con persone che non esistono più, e quindi fuori dalla realtà e con un equilibrio molto precario. E infine Lady Caroline Dester, la bellissima e giovane nobildonna, già stanca a 28 anni di recitare una parte che non le appartiene, quella dell’angelo irraggiungibile, adorato e desiderato da tutti sempre e in ogni luogo, ruolo che l’ha fatta invecchiare dentro precocemente e soprattutto che non le ha mai permesso di creare dei rapporti profondi con chicchessia.
Queste quattro signore decidono per un concatenarsi di casualità di andarsene per tutto il mese di aprile dalla uggiosa Londra in un soleggiato paesino italiano in Liguria, chiamato San Salvatore. Attraverso questo viaggio, parafrasando Marcel Proust, ognuna di loro non cercherà solo una nuova terra da scoprire, ma acquisterà nuovi occhi, per vedere la realtà e per agire la stessa in maniera completamente diversa. Nel caso di Mrs Wilkins e di Mrs Arbuthnot saranno i rispettivi mariti a ‘vedere’ per la prima volta le mogli in modo nuovo ed affascinante; nel caso di Mrs. Fisher, abbandonato il bastone e i fantasmi del passato, sarà lei a ritrovare il modo giusto di vivere la realtà e le sue insicurezze; nel caso di Lady Caroline, lei stessa si accorgerà che non necessariamente ruota tutto attorno a lei e che esiste anche chi la può vedere oltre la maschera perfetta della sua bellezza, e cioè con tutti i suoi limiti e difetti.
La consapevolezza acquisita da queste donne è una conquista di chi ha avuto il coraggio di spezzare un habitus, un modo convenzionale e ormai consolidato di fare o vivere a cui in qualche modo si erano adattate, ma che le faceva soffrire nel profondo. Se pensiamo poi agli anni in cui è stato scritto questo romanzo, si può ancora di più apprezzare il coraggio di queste quattro signore nel fare la loro scelta di rottura e quindi il messaggio di libertà per le donne che l’autrice in modo molto elegante e pacato ha voluto sottolineare.  Il film è ben fatto e fedele al libro, non è eccezionale ma coglie benissimo le atmosfere e i passaggi del ‘viaggio della vita’ delle quattro protagoniste. Il romanzo è piacevole e delicato, si sofferma molto sulla descrizione della natura, delle piante e dei fiori di cui la Von Arnim era un’appassionata conoscitrice, del contesto stesso che si fonde con l’anima delle signore inglesi e che fa si che diventi con loro un tutt’uno.                                                                           
A volte avere il coraggio di rompere lo schema è importante, non si sa di preciso cosa poi ne può conseguire, ma sicuramente da la possibilità di uscire da un sofferto torpore in cui nonostante tutto ci si adagia inconsapevolmente.

venerdì 1 novembre 2013

Halloween, le streghe e i vampiri



Ieri era Halloween e siccome la globalizzazione non è solo una idea sociologica dell’ultimo decennio, anche da noi questa festa molto americana ha preso parecchio piede. Chi poi ha bambini sa bene che il rituale del ‘treat or trick’ è
quasi un obbligo, sempre che non si riesca a sviarlo con una festina carnevalesca sostitutiva. Io ho scelto la seconda e, sebbene in formula ristretta (erano 8 bambini/e fra i 2 e i 6 anni), il caos e il divertimento ‘mostruoso’ sono stati i veri protagonisti del tardo pomeriggio di ieri.
Documentandomi un po’ ho scoperto però che la festa di Halloween, pur arrivando dagli USA,  in realtà ha lontane origini celtiche. Come ho trovato sul sito irlandando.it, che qui cito e ringrazio:
 “..Halloween corrisponde a Samhain, il capodanno celtico. Dall’Irlanda, la tradizione è stata poi esportata negli Stati Uniti dagli emigranti, che, spinti dalla terribile carestia dell’800, si diressero numerosi nella nuova terra.

Il nome Halloween (in irlandese Hallow E’en), deriva dalla forma contratta di All Hallows’ Eve, dove Hallow è la parola arcaica inglese che significa Santo: la vigilia di tutti i Santi, quindi.

I Celti erano prevalentemente un popolo di pastori, a differenza di altre culture europee, come quelle del bacino del Mediterraneo. I ritmi della loro vita erano, dunque, scanditi dai tempi che l’allevamento del bestiame imponeva, tempi diversi da quelli dei campi.

Alla fine della stagione estiva, i pastori riportavano a valle le loro greggi, per prepararsi all’arrivo dell’inverno e all’inizio del nuovo anno. (…) Il passaggio dall’estate all’inverno e dal vecchio al nuovo anno veniva celebrato con lunghi festeggiamenti, lo Samhain  che si celebrava fra il 31 Ottobre e il 1° Novembre, e  il cui significato deriverebbe dal gaelico samhuinn e significa “summer’s end”, fine dell’estate. (…). L’evento serviva ad esorcizzare l’arrivo dell’inverno e dei suoi pericoli, unendo e rafforzando la comunità grazie ad un rito di passaggio che propiziasse la benevolenza delle divinità.

La morte era il tema principale della festa, in sintonia con ciò che stava avvenendo in natura: durante la stagione invernale la vita sembra tacere, mentre in realtà si rinnova sottoterra, dove tradizionalmente, tra l’altro, riposano i morti. Da qui è comprensibile l’accostamento dello Samhain al culto dei morti.

Samhain era, dunque, una celebrazione che univa la paura della morte e degli spiriti che in quell’occasione ritornavano sulla terra, all’allegria dei festeggiamenti per la fine del vecchio anno. Durante la notte del 31 ottobre si tenevano dei raduni nei boschi e sulle colline per la cerimonia dell’accensione del Fuoco Sacro e venivano effettuati sacrifici animali. Vestiti con maschere grottesche, i Celti tornavano al villaggio, facendosi luce con lanterne costituite da cipolle intagliate al cui interno erano poste le braci del Fuoco Sacro.
Dopo questi riti i Celti continuavano i festeggiamenti per altri 3 giorni, mascherandosi con le pelli degli animali uccisi per spaventare gli spiriti.

In Irlanda si diffuse l’usanza di accendere torce e fiaccole fuori dagli usci e di lasciare cibo e latte per le anime dei defunti che avrebbero reso visita ai propri familiari, affinché potessero rifocillarsi e decidessero di non fare scherzi ai viventi.”

Da qui i festeggiamenti, le maschere, i fuochi dentro le cipolle che poi sono diventate zucche e i dolcetti alla porta per scongiurare gli scherzetti degli spiriti.

Gli spiriti e i mostri sono stati spesso rappresentati come streghe, mostri, fantasmi e vampiri. E infatti alla festa di ieri erano presenti ben 5 vampiri, una streghetta e un mini fantasma (una bimba si è rifiutata invece di vestirsi); e c’erano le zucche, le dita mozzate delle streghe e i ragni.

Oggi poi per completare il tutto mi sono vista ‘Dark Shadows’ del 2012 di Tim Burton con Johnny Deep, Eva Green e
Michelle Pfeiffer. Un film gotico e surreale, come solo Tim Burton sa fare, che narra la storia del vampiro Barnabas Collins  che dopo quasi 200 anni di sonno torna ‘in vita’. Catapultato negli anni ’70, Barnabas cercherà di reinserirsi nella famiglia composta dai suoi singolari discendenti e di riportare in attivo la vecchia e lucrosa attività di commercio che avevano fondato i suoi genitori. Ritroverà l’amore e anche la strega che in quanto immortale continua a perseguitarlo per amore e gelosia. Un film burtoniano con l’attore burtoniano per eccellenza, Johnny Deep: non posso dire che non mi sia piaciuto (l’atmosfera era perfetta per la festa appena passata) ma neanche che mi abbia fatto impazzire. Un po’ sconclusionata la trama e in certi passaggi poco convincente, con un protagonista parente un po’ lontano dei magnifici Edward mani di forbici e Ichabod Crane de ‘I misteri di Sleepy Hollow’ ma sempre Deep nell’anima. Belle le ambientazioni e lo humor nero che spesso traspare come puro divertimento più per il regista stesso che per il  pubblico.

Concludo quindi riponendo maschere e zucche, e mangiucchiando i molti dolcetti recuperati, procedo verso un lungo week end di pieno relax.


Buon Halloween in ritardo a tutti!