sabato 26 luglio 2014

Anthony Trollope e la descrizione della follia d'amore in 'He Knew He Was Right'

Anthony Trollope è uno degli scrittori inglesi più prolifici e riconosciuti del periodo vittoriano. Famoso in patria per due serie di racconti entrambi composti da 6 romanzi, di cui una ambientata nella immaginaria contea di Barsetshire e l'altra che narra le vicende del sig. Palliser, la sua opera più conosciuta al pubblico è quella che è a tutt'oggi è considerato il suo capolavoro assoluto, 'The way we live now' da cui è stata tratta anche una famosa serie TV della BBC.

Umorismo e satira contraddistinguono il suo stile nonché la grande capacità di rappresentare '..le cose del quotidiano, dell'usuale..riuscendo a sentirle oltre che a vederle' (come aveva detto di lui Henry James) . Ma uno dei suoi racconti meno conosciuti e, secondo alcuni critici, più belli ed intensi è quello che l'autore scrisse nel 1869 intitolato 'He Knew He Was Right', dove seppur seguendo lo schema dell'intreccio alla storia portante di altri sotto-racconti, quella dei protagonisti Luois ed Emily, presenta degli aspetti così drammatici e così differenti dai temi da lui solitamente trattati, che merita davvero di essere ricordata. Già in un altro post (che si può trovare qui) avevo affrontato il tema della follia nei romanzi dell'800, sia che fosse una rappresentazione di una malattia ereditaria, sia che essa fosse conseguenza di pene e sofferenze dovute a tristi vicende amorose. Anche la storia di Louis e di Emily narra della degenerazione dello stato mentale del giovane protagonista, ricco possidente che si innamora, ricambiato, e che sposa felicemente la giovane Emily, figlia di un ambasciatore inglese, conosciuta durante un viaggio in un paese esotico.
Trevelyand at Casalunga by Marcus Stone

Dopo un primo periodo di intensa felicità matrimoniale, coronata anche dalla nascita di un figlio, a causa di una insana gelosia nei confronti della moglie che sospettava avesse una storia con un vecchio conoscente di famiglia, Luois degenera progressivamente in una forma di ossessione persecutoria che lo porterà non solo a commettere atti estremi, come l'allontanamento del figlio dalla madre, ma anche al suo logoramento fisico che lo porterà alla morte. Interessante la descrizione di Luois 'prima' e 'dopo' l'evento scatenante della prima visita dell'attempato Colonnello alla moglie, che in un avvicendarsi di episodi cambia completamente personalità. Trollope non lascia vie d'uscite al cambiamento del protagonista e anche quando sembra balenare nella testa di Louis un minimo dubbio sulla lealtà della moglie, subito lo fa ripiombare nel sospetto e nella gelosia malata che tanto offusca la mente. Verso la fine del romanzo Emily dice di lui al suo migliore amico Hugh, che Luois non si ristabilirà dalla sua malattia perchè lui stesso vuole morire, come se fosse l'unico modo possibile dettato dal suo subconscio di riaffermare ancora una volta e nonostante tutto che 'Lui sapeva di avere ragione'.


Grazie anche alle vicende dei personaggi degli altri sotto-racconti, fra cui spicca sopra tutte l'anziana e ricca zia di Hugh, Jemima Stanbury, il romanzo sfuma il dramma principale in altre tematiche più lievi e in alcuni casi comiche, senza nulla togliere al tema portante ma garantendogli quella caleidoscopica unicità che ne fa sicuramente un romanzo da non perdere. La BBC ha poi magistralmente adattato il romanzo, come nella maggior parte dei casi, in una serie TV del 2004 dall'omonimo titolo e, anche da questo appassionante ritratto di un secolo e mezzo fa, emerge tutta l'attualità degli effetti tragici a cui può portare la follia d'amore.




mercoledì 23 luglio 2014

Nicholas Nickleby: un Dickens appena appena più speranzoso..

Come già scritto in altri post, Charles Dickens ha per me un effetto calamita a due poli: ora mi attrae ora mi respinge; lo amo e lo odio e la parte di amore che riservo a questo illustre autore dell'800 vittoriano mi fa sempre capitolare quando incappo in un titolo di un libro o di un racconto così come davanti ad un film che rappresenta le sue opere.
L'odio invece sta nel fare una fatica immensa a digerire la puntuale descrizione miserrima di tutti i bambini che si incontrano nei suoi racconti, poveri o ricchi che essi siano: meno male che ci sono molti altri autori e autrici dello stesso periodo che sì hanno evidenziato povertà e maltrattamenti di diversi di loro, ma hanno anche controbilanciato narrando infanzie felici e ricche di affetti sebbene modeste o a volte brevi. Così l'altro giorno, in quei rari casi in cui ho avuto la possibilità di gestire il telecomando per più di un'ora in perfetta solitudine, ho trovato su Sky un film del 2002 diretto da Douglas McGrath dal titolo 'Nicholas Nickleby' tratto dal romanzo dello scrittore inglese che lo realizzò subito dopo il più noto e tristissimo 'Oliver Twist'. Un ancora poco conosciuto e molto carino Charlie Hummer e la più famosa e bellissima Anne Hathaway fra i protagonisti, accompagnati da un eccezionale e cattivissimo Christopher Plummer nei panni dello sciagurato e perfido zio Nickleby, sono solo alcuni dei noti e bravi attori presenti nel cast. Il Nicholas dall'infanzia felice, che a soli 19 anni si ritrova orfano di padre e capofamiglia senza possibilità economiche per sostenere madre e sorella, si rivolgerà all'unico parente ricco e senza scrupoli rimastogli per chiedere sostegno.

Dopo varie vicissitudini, che vedono il giovane prima assistente di un orribile e truffaldino direttore di un collegio per bambini dove i maltrattamenti nei loro confronti erano all'ordine del giorno, e dopo attore talentuoso di un'improbabile compagnia teatrale di strada, Nicholas tornerà nella fumosa Londra da cui era stato allontanato, e grazie alla sua onestà, alla rettitudine e al suo vigore, riuscirà a riscattare sé stesso e la sua famiglia, nonché a trovare quell'amore vero e unico a cui consegnerà la sua vita e di cui il padre gli aveva raccontato fin da piccolo. Straordinari certi personaggi, come il maggiordomo del terribile zio complice del giovane Nicholas, nonché la compagnia teatrale tutta e i due fratelli Cheeryble.
Un film da vedere se riuscite a superare la parte del collegio e del povero Jamie Bell (ex Billy Elliot) nei panni dello storpio Smike.. o se riuscite a digerire quella parte di 'criticismo sociale' di Dickens che io invece chiamo stereotipizzazione..



martedì 15 luglio 2014

'The Inheritance': l'eredità di Louise May Alcott

Nell'ambito della letteratura per ragazze, il romanzo di formazione per eccellenza da sempre riconosciuto tale è la straordinaria saga delle sorelle March, prodotta dalla scrittrice americana Louise May Alcott (1832-1888). In realtà l'opera è composta da più volumi,
i primi due più noti 'Piccole Donne' (Little Women) e 'Piccole donne crescono' (Good wives), e i successivi, che parlano delle vicende matrimoniali e professionali di Jo March, la vera eroina della storia, 'Piccoli Uomini' e 'I ragazzi di Jo'. La Alcott ha senza dubbio segnato la prima giovinezza di molte di noi e, nonostante si sia cimentata anche in altri generi letterari, il filone in cui ha dato il meglio di sé, probabilmente grazie anche al fatto che vi ha messo molto della sua storia personale, è senza dubbio questo. La Alcott però vanta una carriera letteraria piuttosto corposa e, come spesso succede nel caso di questi grandi autori, piccole perle vengono scoperte ed attribuite postume, come se il destino volesse consegnare un'aggiunta di eredità per ringraziare e rendere ancora più viva la memoria di così illustri e geniali antenati. E' il caso di 'The Inheritance' scritto dalla Alcott nel 1849 ma scoperto e pubblicato solo nel 1997. Non esiste ancora la versione tradotta in italiano ma dell'opera se ne possono assaporare le tematiche tanto care alla Alcott nel film TV della IMDb del 1997, interpretato da un giovanissimo e notevole Thomas Gregson, più noto come volto di serie TV come 'Dharma e Greg' e 'Criminal Minds'.

'The Inheritance' parla di una bellissima orfana, Edith, accolta e cresciuta amorevolmente da una ricca famiglia di Concord, Massachussets, come dama di compagnia dell'unica figlia della coppia. La storia racconta del suo non essere parte né della servitù, per lo stile e l'educazione che ha aveva avuto modo di acquisire nel suo ruolo, né della società più esclusiva da cui di fatto veniva tenuta ai margini. L'affetto e la disponibilità però della famiglia Hamilton presso cui viveva, le aveva dato la possibilità di esprimere al meglio la sua personalità dolce ma allo stesso tempo forte e un po' ribelle: vincerà una gara di corsa a cavallo sotto lo sguardo incredulo e stupito di nobili uomini, che non ritenevano tali prove 'adatte' al gentil sesso. Il conflitto fra l'amore per la famiglia che l'aveva accolta e quello per un giovane che pensava di non poter sposare a causa della differenza di classe, troverà la giusta soluzione e il meritato lieto fine. L'accoglienza amorevole del nucleo familiare, la devozione e l'attaccamento filiale, l'essere ribelle e anticonformista (rappresentato al meglio poi dall'eroina per eccellenza Jo March), le dinamiche dovute alle differenze di classe e la genuinità dei sentimenti, sono tutti temi che la Alcott, alla sola età di 17 anni, riesce già perfettamente a trasmettere.

E' interessante notare in questi scritti le differenze con le 'colleghe' più o meno contemporanee del vecchio continente (come Austen, Bronte o Gaskell): pur vivendo le stesse problematiche legate ora alla necessità per una giovane donna di trovare un buon partito, ora alle difficoltà economiche o alle differenze di classe, emerge sempre un lato più spensierato, una forte centralità del nucleo familiare, sia che esso sia d'origine o acquisito e, pur nelle difficoltà, un atteggiamento positivo di guardare al futuro nonostante tutto. Sarà solo una mia impressione, ma a me lo stile e la scrittura della Alcott mi hanno sempre trasferito l'idea di come quel sogno americano avesse pervaso ogni cosa e modo di essere di questi fratelli lontani da casa, fino a diventarne un tratto distintivo.